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Samarcanda non è quello che credete.

Se vi aspettate la mitica Maracanda di Alessandro Magno o la città dei racconti da Mille e una notte, resterete delusi. E’ una città che deve essere affrontata con il giusto spirito per essere capita. Samarcanda è un gran groviglio non solo dal punto di vista storico, culturale, architettonico e urbanistico, ma anche dal punto di vista linguistico. E’ una città in prevalenza tagika che parla soprattutto tagiko ma la lingua ufficiale e l’uzbeko e, come se non bastasse, la lunga dominazione russa ha portato il cirillico e il russo, a cui si aggiungono le minoranze ebree, coreane, rom e ancora altre arrivate con le deportazioni sovietiche. Tutto questo vive nei suoi quartieri! Se la osservate dall’alto ve ne renderete conto: nella parte russa quartieri squadrati, strade dritte, grandi parchi; nella parte tagika una medina di case e stradine.

Samarcanda è una città che si aggrappa a ciò che rimane del suo glorioso passato con tutte le sue forze, ricorrendo a selvagge ricostruzioni e arditi restauri. Ma della Samarcanda antica e timuride resta poco o niente, devastata dal passaggio di Gengis Khan e da secoli di storia travagliata. Il Registan, la necropoli Shah-i-Zinda, l’Afrosiob, la moschea di Bibi-Khanum, l’osservatorio di Mirzo Ulugbek, il mausoleo di Tamerlano Gur-e-Amir… Tino Mantarro nel suo splendido Nostalgistan la definisce una specie di Disneyland. Sono da vedere sia ben inteso, riescono comunque a sorprenderti, ma intorno ad essi cresce una città ben diversa. O forse sarebbe meglio dire più città. Quella imperiale degli zar, quella sovietica e quella moderna, fatta della nuova versione di mnogoetazhniki, di parchi e prati verdi e rigogliosi che rendono la città una specie di oasi in mezzo al deserto, dei quartieri popolari. E anche questa deve essere accettata. Anzi, in realtà è l’ulteriore dimostrazione che a Samarcanda c’è molto di più da vedere e che basta allontanarsi dai sentieri più battuti.

Se volete farvi una buona idea di cosa sia la Samarcanda odierna vi consiglio questo libro Samarcanda. Storie di una città dal 1975 a oggi di Marco Buttino.

Quindi facciamo un po’ il punto della situazione su cosa c’è da vedere a Samarcanda.

Seguitemi!

LA SAMARCANDA ANTICA

Il Registan

Il nome deriva dal persiano e significa “luogo di sabbia” o “deserto”. Era una piazza pubblica, la più importante della Samarcanda timuride. Qui furono costruite tre madrase, le scuole dove si studia il Corano: Ulugbek, Sher-Dor e Tilya-Kori. Oggi se arrivate in questa piazza di sera, entro le 22, assisterete ad un magico gioco di luci. Questa è la cartolina della città e, forse, di tutta l’Asia Centrale. Di giorno le maioliche scintillano sulle facciate delle tre madrase dai minareti tutti storti. Ma all’inizio del Novecento il loro aspetto era ben diverso, come documentato da artisti ricercatori che hanno viaggiato in lungo e largo in Asia Centrale nel XIX e XX secolo. Le foto suggestive custodite nella madrasa di Tilya Kori mostrano facciate scrostate, minareti distrutti e le bancarelle che affollavano la piazza dove oggi si accalcano solo i turisti. In quelle che erano le celle degli studenti ci sono negozietti di souvenir, tappeti e artigianato.

La madrasa Ulugbek fu costruita dal nipote di Tamerlano ed è stata una delle migliori università dell’Oriente islamico nel secolo XV. La madrasa Sher-Dor presenta una particolarità sulla sua facciata, la rappresentazione di animali: due tigri e altri due non ben identificati animali bianchi (forse due daini?). Poiché nell’Islam è vietato raffigurare esseri viventi, questi animali sembrano reali solo in apparenza. Osservandoli bene ci si accorge che sono fantastici. Inoltre presentano dei tagli verdi sul corpo, il che indica che l’artista ha voluto rappresentarli come se non fossero vivi. Solo Allah può dare la vita, l’uomo può limitarsi alla rappresentazione di qualcosa di fantastico o morto. La madrasa Tilya Kori ha una moschea con una strabiliante cupola d’oro e blu. Anche se evidentemente è stata rifatta l’effetto è mozzafiato.

La necropoli Shah-i-Zinda

Questa necropoli è una specie di cimitero monumentale. Il nome è estremamente evocativo e significa “il re vivente”. Il complesso si compone di tre gruppi di strutture: inferiore, medio e superiore collegate tra loro da quattro arcate chiamate chartak. Le tre parti risalgono a epoche differenti che vanno dal IX al XIV e al XIX secolo. Qui sono sepolti parenti di Tamerlano, membri del clero e dell’aristocrazia militare. Si dice anche che qui sia sepolto Kusam Ibn Abbas, il cugino del profeta Maometto e questo rende la necropoli meta di pellegrinaggio.

L’Afrosiob

Il sito archeologico di Afrosiob si trova nella parte nord dell’odierna Samarcanda e fa riferimento alla città di epoca Sogdiana. Qui non troverete palazzi e maioliche, ma solo le rovine della cittadella e delle mura esterne. Tutto ciò che è riaffiorato durante gli scavi di epoca sovietica negli anni ’60 e ’70 è custodito nell’interessante museo che si trova all’ingresso dell’area archeologica.

La fase più antica della città risale al VII-VI sec a. C. quando la città era in mano alla dinastia Eksid. A questo periodo appartengono gli affreschi conservati nell’adiacente museo, forse rappresentazione di un’incoronazione, forse una celebrazione religiosa. La storia di questi affreschi è spiegata molto bene in un video che si può guardare all’interno del museo. Questa potrebbe essere la bella Maracanda che affascinò Alessandro Magno durante la sua spedizione nella Sogd nel 329-327 a. C. La città sopravvisse per molti secoli, prima come parte del regno greco-battriano, poi parte degli imperi turco e cinese e infine conquistata dagli Arabi, fino alla distruzione di Gengis Khan quando venne abbandonata definitivamente. La sede della nuova Samarcanda venne individuata da Tamerlano spostata di qualche chilometro.

La moschea di Bibi-Khanum

Situata proprio accanto al Syob bazar, quando vi ritrovate davanti l’imponente portale di questa moschea vi sentirete piccolissimi. Fu costruita al termine della campagna indiana del 1399 da Tamerlano con l’intento di farne la più grande moschea dell’Oriente islamico. La costruzione piuttosto veloce vide la partecipazione di artisti locali, ma anche provenienti da Azerbaigian, Persia, Khorasan e India. Per darvi un’idea dell’opera mastodontica, c’è la testimonianza di un nobile europeo castigliano, Ruy González de Clavijo, che racconta dell’utilizzo di 90 elefanti per trasportare le pietre preziose necessarie alla sua costruzione. Crollò definitivamente durante il terremoto del 1897. Quella che vediamo oggi è in gran parte un edificio di recente ricostruzione. Circolano molte leggende sulla moschea, come quella di un bacio galeotto tra l’architetto e Saray Mulk Khanym o Bibi Khanum, la moglie preferita di Tamerlano, a cui tra le varie ipotesi, potrebbe essere dedicata la moschea.

L’osservatorio di Mirzo Ulugbek

Ulugbek oltre ad essere principe di Samarcanda e nipote di Tamerlano era un eccezionale astronomo. La madrasa da lui fatta costruire sulla piazza del Registan era un importante centro astronomico. Per coadiuvare la ricerca astronomica della madrasa, Ulugbek fece costruire un osservatorioconsiderato ancora oggi uno dei migliori dell’Islam medievale. Per darvi un’idea delle incredibili doti di astronomo di Ulugbek pensate che ha stabilito la durata dell’anno solare con un errore di pochi SECONDI rispetto all’attuale computo! Inoltre è riuscito a determinare l’inclinazione assiale della terra in 23°52, valore tuttora confermato. Ulugbek venne assassinato da fanatici religiosi nel 1449 e il suo osservatorio venne distrutto con lui. Per molto tempo la sua posizione rimase sconosciuta. Fu riscoperto solo nel 1908 dall’archeologo russo V.L. Vyatkin grazie ad un documento del XVII secolo e poi grazie agli archeologi sovietici fu fatto il possibile per preservare ciò che ne restava. Oggi si conserva il grande sestante protetto da una copertura a tunnel e nel piccolo museo si possono scoprire molti interessanti dettagli.

LA SAMARCANDA RUSSA E SOVIETICA

Vasilij Vereshchagin è famoso per i suoi quadri che documentano la conquista del Turkestan da parte dell’impero russo. Partecipò alle campagne militari, si ritrovò coinvolto nell’assedio della fortezza russa di Samarcanda, viaggiò in lungo e largo in Asia Centrale per documentare le usanze degli abitanti e i paesaggi. Le tele che fanno parte della sua grande serie di dipinti sul Turkestan mostrano con crudezza quegli eventi storici e le popolazioni locali che incontrò. Una straordinaria testimonianza diretta!

Quella russa e sovietica sono due parti della Samarcanda moderna che non possono essere escluse dalla visita della città se davvero si vuole apprezzarla appieno. Vi ritroverete catapultati in tutt’altre atmosfere! Il Boulevard Abramov, la Facoltà di Scienze Naturali dell’Università Statale, un grazioso edificio color pastello in stile russo ex sede di una banca cinese, bassi edifici in mattoni, la Cattedrale di Sant’Alessio e quella cattolica di Giovanni Battista, ampi viali alberati con immensi platani e aiuole verdissime.

Un’esperienza da non perdere è la visita alla Dom Filatova, sede dell’antica vineria Khovrenko. Vi starete chiedendo… ma il vino? In Uzbekistan? La risposta è sì, l’Uzbekistan è uno dei maggiori produttori di uva dell’Asia Centrale e la tradizione vinicola è antichissima portata qui probabilmente ai tempi degli arabi. La cantina Khovrenko è stata fondata da Dmitriy Filatov, di cui conserva il nome, nel 1868 e già allora ottenne importanti riconoscimenti in Europa. L’enologo e chimico russo Michael Khovrenko rilevò l’azienda e diede nuovo impulso alla produzione. Oggi nel museo si conservano ancora bottiglie delle annate più importanti e si possono fare tour guidati e degustazioni.

Se invece siete appassionati del periodo sovietico basta fare un giro fuori dal centro per imbattersi in mosaici, khrushchyovki che sostituirono i tradizionali mahalla (grandi case con una corte centrale dove vivevano intere famiglie tutte insieme), fabbriche ed edifici del periodo.

LA SAMARCANDA DIETRO I MURI

Samarcanda è una città multietnica. Qui convivono uzbeki, tagiki, kirgisi, russi, ebrei, lyuli, coreani e altri. Un vero e proprio crocevia di popoli. Ma per trovarla tutta questa umanità vera bisogna allontanarsi dai luoghi cartolina tirati a lucido e assediati dai turisti e addentrarsi nella città moderna, ma soprattutto al di là di quei muri costruiti per nascondere la parte più povera della popolazione. In una zona che si estende tra il Registan e Sha-i-Zinda e la moschea Bibi Khanum si trova il quartiere ebraico. La presenza di ebrei provenienti da Bukhara a Samarcanda ha una storia molto antica. Le prime documentazioni sulla comparsa di questi ebrei sono rare ma risalgono al XII secolo e la loro storia è davvero interessante. Oggi questo antico quartiere è un melting pot etnico.

Un’altra comunità misteriosa e antica è quella dei Lyuli. Purtroppo, oggi vive discriminata e ai margini della società uzbeka, che vede in loro solo ladri e accattoni. Questi rom dell’Asia centrale, sono imparentati con i Rom e i Sinti dell’Europa e del Medio Oriente, ma potrebbero essere originari dell’India. Il poeta medievale persiano Ferdowsi parla nello Shahnameh di musicisti indiani inviati come dono al re persiano Bahram Gur dal re indiano Sangulu. Ma non ci sono evidenze storiche a favore di questa tesi. Di certo non sono sempre stati considerati dei reietti in Asia Centrale.

Oggi fanno parte di una comunità isolata e preservano un sistema di caste. La maggior parte della popolazione uzbeka li considera sporchi, ladri, stregoni e incuranti delle leggi. Quello della loro integrazione è un problema molto grosso in Uzbekistan. Efficaci progetti di integrazione furono sviluppati in epoca sovietica quando si cercò di sedentarizzarli, inserirli nel mondo del lavoro e alfabetizzare i bambini, furono create le prime attorie collettive tsygane (цыганы – Tsygani era ed è il termine con cui vengono indicati in russo). Oggi non esistono politiche di questo tipo sponsorizzate dallo stato nei confronti della comunità Lyuli. Non ci sono progetti che lavorino sulla destigmatizzazione, sulla sensibilizzazione, sull’inclusione o sull’istruzione. Ci sono però progetti a livello europeo che possono essere un esempio per la realtà Lyuli in Uzbekistan.

FUORI SAMARCANDA

La cartiera

“La migliore carta del mondo viene prodotta a Samarcanda” disse il principe Babur discendente di Tamerlano e fondatore della dinastia Moghul. Fin dall’antichità Samarcanda era famosa per la sua carta. Una carta speciale fatta con il gelso che cresceva rigoglioso in tutta la regione. A pochi km dalla città la fabbrica di carta Meros, fondata dai fratelli Mukhtarov a Koni Ghil, è ancora oggi un’eccellenza del territorio. Costruita con immensi sacrifici, questa cartiera ha fatto rivivere il metodo antico di produzione della carta di seta. Un lavoro artigianale che utilizza materie prime naturali di qualità e che dà vita a una carta che può durare per secoli.

Il posto è un piccolo paradiso di alberi, piccoli fabbricati in mattoni di fango, ruscelli e un mulino in legno come ce n’erano in gran quantità intorno a Samarcanda. Qui i visitatori possono assistere a tutto il processo di produzione, acquistare souvenir fatti interamente di questa preziosa carta, rilassarsi e rifocillarsi. Il suo instancabile fondatore Zarif Mukhtarov è un vulcano di idee e ha intenzione di continuare espandere questo piccolo paradiso con nuovi laboratori, programmi culturali e workshop.

All’incirca nello stesso periodo in cui da noi festeggiamo il carnevale, in Russia si festeggia la Maslenitsa. Lo scopo della festa è lo stesso: scacciare l’inverno, salutare la primavera e fare baldoria prima del periodo di Quaresima.

Si tratta di un’antica festa dalle radici pagane. Il cristianesimo si fece strada faticosamente tra gli Slavi a partire dalla seconda metà del IX secolo. Tra l’867, anno in cui spunta una enciclica del patriarca bizantino Fozio in cui si manifesta la speranza di convertire i rhos (= russi) e il battesimo del principe Vladimir nel 988, si alternano momenti in cui si fondano eparchie a momenti in cui si giura ancora su Perun e Volos, o ancora tra Sant’Elia e Perun. Tuttavia anche dopo la cristianizzazione ufficiale tradizioni, credenze e antiche feste pagane sopravvissero a lungo e molte sono giunte fino ai nostri giorni.

Fonte foto https://strange-fruit-collector.tumblr.com/post/73349673682/perun-wooden-statue

L’arrivo della primavera

L’usanza di festeggiare l’arrivo della primavera e il ritorno del sole e della vita era comune a molte civiltà. A Babilonia si tenevano per giorni celebrazioni dedicate al dio del sole Marduk. In Egitto veniva onorata la dea della fertilità, Iside; in Grecia, le dee Cora, Demetra e Atena; a Roma si tenevano celebrazioni in onore della dea Minerva.

Con l’adozione del cristianesimo in Europa, le festività pagane furono rivestite di nuovi contenuti, pur conservando molte caratteristiche antiche. Nella Russia pagana, la settimana di Maslenitsa divenne l’erede del più antico rito slavo Komoeditsa, associato al culto dell’orso che si risveglia in primavera.  Komoeditsa è stata parzialmente conservata in Bielorussia come parte delle celebrazioni di Maslenitsa. L’orso in Russia pur essendo rimasto uno dei personaggi importanti nelle festività ha ceduto il passo alla dea della morte e dell’inverno Marena e al dio del sole Yarilo. Le famose frittelle, i bliny, sono diventate il piatto principale della festa come simbolo del sole e della vita.

Fonte Wikipedia

Dopo l’adozione del cristianesimo, sorse un problema. La settimana di festa cadeva giusto nella Grande Quaresima e ovviamente la baldoria era contraria allo spirito del digiuno. Perciò Maslenitsa doveva essere spostata all’ultima settimana prima dell’inizio della Quaresima. Così una festa tradizionalmente legata al risveglio della primavera finì in un periodo di atroce freddo invernale. Dettagli cristiani a parte (come la recita di preghiere di pentimento, la preparazione al periodo della Quaresima e il rito del perdono o la riconciliazione con i vicini), gli attributi principali della festa popolare erano le abbuffate, i giochi, i travestimenti e i festeggiamenti.

Riti e Tradizioni

Come vi accennavo è una festa in cui si vuole dare il benvenuto alla primavera e al sole, ma ahimè c’è ancora tanta neve! Si gioca con gli scivoli di neve facendo in modo che siano più alti possibile per propiziare la crescita del lino; si creano fortezze di neve e ghiaccio e divisi in squadre si ingaggia battaglia per la conquista, i vincitori hanno il diritto di baciare tutte le ragazze della festa; i futuri sposi vengono ricoperti di neve come segno di benessere futuro.

Maslenitsa viene anche chiamata Сырная седмица – La Settimana del Formaggio. Secondo la tradizione in questi giorni non è più possibile mangiare carne, ma si possono ancora mangiare latticini e pesce. C’è una ragione molto pratica in questo. Burro, latte, ricotta, frittelle, panna acida erano sulle tavole degli Slavi molto prima del Battesimo della Rus! Alla fine di marzo, per la prima volta dopo l’inverno, le mucche partorivano e nelle case appariva il latte. Poiché la macellazione del bestiame in inverno non avveniva e le vecchie scorte di carne si stavano esaurendo, i latticini e i prodotti a base di farina erano la principale fonte di alimentazione. Da qui il nome: Maslenitsa (масло=burro).

Le frittelle del sole

I famosi Bliny (блины), una frittella rotonda simile alle crepes francesi e tipici delle festività per il carnevale, simboleggiano il sole e quindi la rinascita della natura a primavera. Possono essere serviti con un ripieno salato con burro, smetana, caviale rosso o nero, formaggio, patate, funghi, oppure dolce come marmellata, latte condensato, frutta.

Credits timolina – Freepik

Ogni giorno della settimana aveva un preciso rituale

Lunedì. Incontro, встреча (vstrècha). E’ l’incontro con la festa. Si preparano i bliny, i bambini giocano con gli slittini, si scaldano intorno al fuoco e si prepara il fantoccio di Maslenista (lo spaventapasseri dagli abiti femminili).

Martedì. Giochi, заигрыш (zaìgrysh). Battaglie, riti propiziatori per i giovani sposi, scivoli, incontri.

Mercoledì. Ghiottone, лакомка (lakomka). Va beh… lo avrete capito che in questa festa si mangiano i bliny allo sfinimento! Ma in questo caso sono quelli della suocera, che invita il genero cena per rimpinzarlo.

Giovedì. Baldoria, разгул (razgul). E’ la giornata dei travestimenti e fino all’inizio del XX sec c’era l’usanza di portare per il paese un albero addobbato con nastri, campanelle e drappi. Oppure poteva essere un giovane ragazzo il protagonista che teneva in braccio vino e leccornie. La sua slitta era seguita da altre e ovunque c’erano canti e balli.

Venerdì. Serata della suocera, тещины вечерки, (tesciny vechera). Il genero dovrà pur contraccambiare l’invito della suocera no?! Così la invita a cena.. e si mangiano i bliny.

Sabato. La veglia delle cognate, золовкины посиделки (zolovkiny posidelki). Sempre serate in famiglia.

Domenica. Addii, прощеное воскресенье (Proscenoe voskresen’e). Ci si prepara alla Quaresima, viene celebrato uno speciale rito di perdono durante il quale il clero e i parrocchiani si chiedono reciprocamente perdono. Il carnevale si chiude con canti e balli, ancora bliny, la banja per purificarsi e il falò dello spaventapasseri per salutare l’inverno.

Fonte immagine http://www.ioarte.org/artisti/Sissi/opere/petruska/

Bruciare per rinascere

Uno dei momenti più significativi è il falò della Maslenitsa come simbolo della fine dell’inverno. E’ un rituale pagano antico che indicava la “sepoltura” dell’inverno e, di conseguenza, tutte le difficoltà ad esso associate. Lo spaventapasseri in abiti femminili rappresenta la Maslenitsa ed era effige della dea invernale Marena. Prima di essere bruciato lo spaventapasseri viene condotto per le strade del villaggio in modo che tutti i residenti possano vederlo in una sorta di corteo funebre, festoso però, visto che il funerale è quello dell’Inverno.

L’usanza del falò propiziatorio si ritrova anche nel Carnevale di Ivrea. L’abbruciamento degli Scarli è parte del rituale del Funerale del Carnevale che si conclude il Martedì Grasso. Gli alti pali degli Scarli vengono bruciati nelle piazze come segno di buon auspicio per l’anno appena iniziato. Bruciando l’albero si brucia il passato, che alle soglie della primavera deve lasciare il passo alla nuova vita. Più velocemente brucia lo Scarlo e meglio è! Il Funerale del Carnevale prosegue con una silenziosa marcia per tutto il paese, scandita solo dal rumore delle sciabole degli Ufficiali trascinate sul selciato e dalla musica dei pifferi.

La prima volta che ho provato la banja ero in una dacia di amici un po’ fuori Minsk. Ma prima di cominciare facciamo chiarezza su cosa sono la banja e la dacia.

La banja è la tipica sauna russa. Nel mondo esistono vari tipi di bagni di vapore che si distinguono per temperature e grado di umidità. La sauna finlandese ad esempio è una sauna secca con temperature molto alte. Il bagno turco invece ha temperature più basse ma un’umidità molto alta. La banja è simile alla sauna finlandese ma ha temperature leggermente più basse.

Veniamo alla dacia. E’ la casa di campagna dove generalmente trascorrono il week end o le vacanze estive le famiglie della città. Le prime dacie apparvero al tempo di Pietro il Grande e conobbero grande diffusione in Russia fino ad un vero e proprio boom negli anni ’80. Ancora oggi sono un luogo dove i cittadini si recano per trovare un pò di pace dai ritmi frenetici della città, coltivano i loro orticelli e giardini e si riuniscono con gli amici per fare festa. Sono tipiche casette di campagna, generalmente molto spartane (anche se i ricconi si costruiscono delle vere e proprie ville) immerse in una romanticissima campagna ma… priva di illuminazione e infestata dalle zanzare!

Tornando alla mia prima banja.. Nashi belarusskie drusià ci avevano invitato per uno scambio musicale in Bielorussia e ci hanno portato un paio di giorni in campagna come da tradizione. La casa era circondata da stradine in terra battuta, giardini, orti e qualche altra dacia sparsa qua e là.. C’era una piccola capanna di legno, con la stufa e le panche in una stanza, e un altro ambiente per spogliarsi. Fuori da questa costruzione una tinozza con l’acqua fredda. Ricordo perfettamente il tuffo con la pelle umida appena uscita dalla stanza di vapore! E’ una sensazione molto piacevole e la pelle è liscia come la seta.

Una tradizione molto antica

Così come gli abitanti dei paesi scandinavi, anche gli Slavi conoscevano da sempre la sauna. I Kievani, convinti che l’apostolo Andrea avesse predicato nelle terre degli Slavi orientali, raccontano nelle loro Cronache delle “strane torture” che avrebbe visto.

“..Si lavano e si frustano.. Ho veduto i bagni di legno, e come li riscaldano fino al color rosso, e si spogliano, e sono nudi.. e sollevano su di sè una verga giovane, e si fustigano da soli.. e si spruzzano d’acqua gelida”

Racconto dei tempi passati

Anche viaggiatori arabi in terra slava raccontano della banja, di cui però si stupivano meno rispetto all’apostolo Andrea, conoscendo già l’hammam. Al-Mas’udi racconta di casupole di legno con le fessure otturate da muschio e la stufa rovente in un angolo su cui veniva versata acqua calda. Ma anche loro non sapevano spiegarsi l’uso dello scopino di erbe con cui i bagnanti si sferzavano. Si trattava del venik una scopetta fatta di rami di betulla o a volte tiglio o quercia, con cui ci si frusta per riattivare la circolazione.

Tutti praticavano il bagno di vapore dai principi ai contadini. Era un’abitudine diffusa in città grandi e piccole. Per gli antichi Slavi la sauna era considerata un luogo sacro che riuniva i 4 elementi della natura: aria, acqua, fuoco e terra. Si riteneva che questi infondessero vigore e salute. Ma al di là della sensazione di benessere e della pulizia era considerata una pratica estremamente salutare.

Banja “nera” e banja “bianca” qual’è la differenza?

Esistono due tipologie di banja a seconda del tipo di fuoriuscita del vapore. Nella banja nera, che viene considerata la tradizionale russa, non ci sono tubi per la fuoriuscita del fumo. Il fumo prodotto dalla legna esce da piccole fessure praticate nel soffitto e nelle pareti che per questo motivo sono anneriti dalla fuliggine. Devono essere puliti prima di ogni utilizzo e prima di iniziare la seduta è necessario far cambiare aria aprendo porte e finestre. Questo tipo di banja col tempo si trasformò nella sua versione “bianca” (e oggi più diffusa) con l’aggiunta di un tubo per la fuoriuscita del fumo.

Istruzioni per l’uso

Il rituale da seguire è ben preciso, ed è un circuito che si ripete più volte. Ci si spoglia nella zona comune, la tradizione vuole che la sauna si faccia nudi (al massimo è possibile indossare un asciugamano), per questo motivo i bagni pubblici hanno zone separate uomo/donna, a volte sono dotati anche di stanze private dove è possibile entrare insieme. Prima di entrare nella sauna è necessario fare una doccia evitando di usare saponi o bagnare i capelli. Si può utilizzare un cappello (shapka) di feltro che protegge la testa dalle alte temperature.

Il bagno di vapore dura circa 5/10 minuti, meglio non esagerare con la durata. La stanza è piccola ed ha la stufa con le pietre roventi in un angolo e le panche di legno su tre piani. Si comincia sempre dal livello più basso per poi salire man mano che il corpo si abitua. Quando il corpo si è acclimatato è il momento buono per usare il venik e riattivare la circolazione. Dopo di che ci si butta nella vasca con l’acqua fredda o ci si rotola nella neve a seconda di dove ci si trova!

Tra un bagno di vapore e l’altro ci si rilassa bevendo un tè o del kvas e mangiando qualcosa (sconsigliatissimo l’alcool). Il rituale si ripete più volte e capite perché la banja è una cosa seria per cui ci si dovrebbe prendere almeno 2 ore di tempo. Ma la mia amica Nina mi ha suggerito anche 4 ore.

La banja è ancora oggi un’attività importantissima non solo perchè è un momento di relax e benessere ma è anche un momento di socializzazione con amici e parenti e può diventare anche un strumento di business.

Ma la banja esiste anche in città

E’ più facile trovare la vera banja lontano dalle grandi città e nei paesini di provincia. Come vi dicevo molte dacie posseggono la propria banja ed essere ospitati da amici vi assicurerà un’esperienza autentica, che però a volte mettono a disposizione anche strutture alberghiere. Nelle grandi città ci sono diversi bagni storici che comunque meritano una visita.

Soprattutto i Bagni Sanduny (Sandunovskye bany) a Mosca. Sono i più antichi e lussuosi di Mosca e tra i più famosi in Russia. In funzione dal 1808, sono un vero e proprio gioiello architettonico in stile “beaux arts”. I vari spazi sono tutti elegantissimi e arredati con stili diversi dal rococò al gotico, dal romano al moderno. Sono dotati di una parte pubblica, ma si può anche affittare una stanza privata. Eventualmente si può fare anche una visita guidata. Utilizzare la parte pubblica potrà essere un buon modo per conoscere gente del posto.

Ancora una cosa… vi presento Bannik!

Spirito abitante nella banja dalle sembianze di un vecchio nudo, spesso ricoperto di fango o delle foglioline del Venik. Talvolta può assumere le sembianze di un cane o un gatto. Uno spirito un pò cattivello, tanto che è meglio ingraziarselo con un’offerta propiziatoria. Mai fare la banja dopo la mezzanotte quando Bannik fa la sauna con altri spiriti della casa: Domovoj, Kikimora ecc.. Le fanciulle in età da marito consultavano Bannik per scoprire come sarebbe stato il loro futuro sposo. A seconda del segnale che ricevevano poteva essere buono e ricco oppure cattivo e povero. :)))

S lëgkim parom!” e a presto.

I russi hanno la fissa dei vezzeggiativi, dei diminutivi e di tutto ciò che si può trasformare in una forma affettuosa. Vodka è una forma vezzeggiativa che significa “piccola acqua” o “acquetta”, da вода (vadà) acqua + il suffisso ka.

La vodka è, nell’immaginario mainstream, la bevanda per eccellenza della Russia. In realtà non è che proprio tutti i russi siano degli ubriaconi o che bevano solo ed esclusivamente vodka. Ad esempio durante i festeggiamenti fa spesso coppia con il russkoe shampanskoe (imitazione russa del nostro prosecco).  Normalmente la bevanda preferita dei russi – come vi ho spiegato qui – non è alcolica ma è il , che viene bevuto a qualsiasi ora del giorno e in ogni casa certamente non manca un bollitore.

Ma tornando alla fama dei russi grandi bevitori, la “Cornaca degli anni passati” del monaco Nestore riporta queste parole del Principe Vladimir: “Bere è la gioia della Rus”. Siamo nel 988 d. C. e il principe di Kiev deve assolutamente scegliere una religione monoteista perché pagani no, proprio non si può restare! Così riceve le delegazioni di Islam, latini, ebrei e bizantini. Tutti vengono scartati tranne la fede di Bisanzio per motivazioni su cui qui non mi dilungherò. Rifiuta l’Islam a causa del divieto di bere alcol.

Ma si dice Wodka o Vodka?

E qui si apre la faida tra Russia e Polonia! Per farla breve la documentazione storica pare dar ragione ai polacchi come inventori, ma i primi a farne un business e un monopolio furono la nobiltà russa e gli Zar. Resta il fatto che i distillati a base di cereali sono tipici di tutta la fascia europea in cui non è possibile la coltivazione della vite. Le origini sono contadine e avvolte nel mistero. La tradizione popolare ci ha tramandato la preparazione di un fermentato di patate e successivamente di cereali, che poi veniva distillato con alambicchi rudimentali. Ancora oggi esistono questi preparati casalinghi ‘samogon’ e ‘polugar’.

Prima in Europa, poi nel mondo.

Fino alla Rivoluzione del 1917 la vodka era sconosciuta agli europei (tranne Napoleone e i suoi soldati che durante la Campagna di Russia l’avevano già conosciuta nel tentativo di non morire assiderati!). Anche in questo caso protagonisti saranno i nobili che fuggirono dalla Rivoluzione in Europa. Uno dei più famosi distillatori Piotr Smirnov proverà a farla apprezzare ai parigini, che però abituati ai profumati cognac la “snobbarono”. Il successo arriverà in America dove nascerà il famoso “Moscow Mule”. Ma la vodka sarà sempre considerata simbolo della classe operaia russa e della “cortina di ferro”. Fino a quando James Bond nel film “Casino Royale” non inventerà il Vesper Martini. Da quel momento i più famosi barman di America ed Europa creeranno decine di cocktail con il distillato, rendendolo famoso e affrancandolo dalla nomea popolare e contadina.

Ma nel frattempo in Russia… c’erano le ryumochnaya!

Più che un bar potremmo definire la ryumochnaya una ‘shotteria’. Ryumka infatti è il tipico calicino da shot in cui si serve la vodka. In Unione Sovietica, le ryumochnaya erano indicate come “snack bar specializzati”. Erano in pratica bottiglierie che vendevano oltre all’alcol – principalmente vodka- anche semplici pasti, panini con salsiccia, uova sode, formaggio, aringhe salate, spratti (se ve lo state domandando è un pesce simile alla sardina che facilmente troverete conservato in scatola), che la gente consumava in piedi appoggiati a tavoli alti senza sedie. Un bar dal sapore sovietico che era luogo di convivialità, passione, incontro, lunghe discussioni ma anche di perdizione e autodistruzione. Nella Russia moderna quelle più antiche stanno scomparendo e stanno nascendo delle rivisitazioni più cool come questa a Mosca oppure quella che si trova nel Museo della Vodka  a San Pietroburgo.

Come si beve e qualche suggerimento

La vodka non si assapora come se fosse un vino d’annata o una grappa, si beve alla goccia. Meglio accompagnarla con qualche stuzzichino calorico magari salato- gli immancabili cetriolini sottaceto, acciughe o lardo su fette di pane integrale, formaggio, aringhe – o con la classica salamoia. Consiglio per la sopravvivenza (testato personalmente): se per caso vi ritrovate ad una cena in cui oltre alla vodka circolano anche vino e birra evitate di mischiare. Consiglio da me più volte disatteso con conseguenze nefaste! ;)))

Il bicchierino è generalmente preceduto da un ‘tost’, un articolato brindisi in cui si augura ogni sorta di bene ai commensali (salute, amore, amicizia, fortuna ecc). Se proprio non sapete cosa dire un za zdarovje è accettato!

E ora beccatevi questa breve lista delle mie preferite.

Potreste dissentire ma…”De gustibus non est sputazzellam!“.

Tsarskaya Gold

Ce l’ha consigliata l’addetta del Duty free e siamo stati contenti di ave accettato il consiglio. E’ finita in una cena con amici! La ricetta risale all’epoca di Pietro il Grande. Distillata da grano e affinata con miele, un’infusione di fiori di tiglio e l’acqua del Ladoga.

Beluga

Forse una delle più conosciute e riconosciute. Prodotta con ingredienti biologici, lieviti naturali e l’acqua più pura dei pozzi artesiani della Siberia. Distillata da orzo e affinata con miele, rhodiola rosea e cardo mariano.

PureDew

Una vodka biologica prodotta artigianalmente e di altissima qualità. Ogni stadio della preparazione è certificato secondo il Bio Standard. I terreni da cui nasce il grano utilizzato riposano per anni e non vengono trattati con fertilizzanti artificiali, cosa che non permette di avere grano in grande quantità.

Nemiroff Betulla

Vodka ucraina aromatizzata alle gemme di betulla.

Se volete regalare ai vostri amici un “souvenir à la russe” (un giorno vi spiegherò anche il perchè del francese) sappiate che qui non troverete solo matrioska, vodka e chincaglierie cinesi. La Russia vanta un’antica tradizione di lavori artigianali, dalla ceramica alle miniature laccate, dai pizzi di Vologda agli scialli di Pavlovskij Posad, nonchè specialità culinarie dai tè alle marmellate, e poi i prodotti cosmetici fatti con ingredienti siberiani. Inoltre non trascurate gli shop dei musei perché spesso offrono interessanti articoli per regali sfiziosi e originali.

Tralasciando matrioske e vodka ecco alcuni suggerimenti.

Te’ e infusi, cioccolata, miele e ..marmellata di pigne!

Bacche, frutti di bosco, pigne ed erbe siberiane ne troverete a bizzeffe. Non vi ci vorrà molto a notare quante varietà di mirtilli possono avere succhi e tè! La Taigà è ricca di centinaia di varietà di frutti di bosco, molti di questi del tutto sconosciuti in Europa come il camemoro e l’olivello spinoso (oblepìkha).

Varenje (le marmellate), tè e infusi con frutti di bosco e bacche li troverete un po’ ovunque nei mercati, supermercati e negozi e saranno sicuramente un souvenir esotico. Soprattutto infilate in valigia un vasetto di varenje is shishek, la marmellata di pigne fatta con le giovani pigne di pino (in particolare il pino, o cedro, siberiano). Vengono raccolte in primavera e si prepara una confettura estremamente balsamica che si mangia in autunno e in inverno, toccasana contro mal di gola e raffreddore. Le pignette sono morbide ma allo stesso tempo croccanti, un po’ resinose all’inizio ma che vi lasciano in bocca un buon sapore aromatico.

Prima che il tè giungesse in Russia si beveva un infuso di erbe chiamato Ivan Chaj dalle molte proprietà benefiche e diffuso ancora oggi. I medici ritengono che aiuti ad abbassare la febbre, allevi il mal di testa, riduca il rischio di contrarre il cancro e aiuti a liberare il corpo dalle tossine. Se passate da Mosca andate alla casa del tè Perlov sulla Myasnitskaya, qui lo troverete di sicuro insieme ad altre centinaia di varietà di tè, infusi e caffè.

E’ vero in Italia e in Europa abbiamo tanto buon cioccolato ma portare con voi una tavoletta di “Aljonka” è un grande classico dal fascino sovietico. Anche il miele non è una prerogativa russa ma potete cercarne alcune varietà tipiche come il miele di tiglio della Bashkiria, quello di fiori misti degli Altaj o quello di alta montagna degli Urali.

Artigianato

Se possibile, il mio consiglio è di evitare i negozi troppo turistici che molto spesso vendono solo cinesate e cercarne di più artigianali che probabilmente saranno più cari ma offrono un prodotto di qualità e unico.

Se volete delle alternative alle matrioske eccone alcune:

Miniature in lacca di Palekh Le bellissime immagini sono dipinte su scatoline, spille, astucci e posacenere. Per lo più sono tratte dalla letteratura classica, dal folklore e dalle favole russe. Oltre ad aprire un mondo sul folklore russo sono davvero molto belle e i disegni estremamente delicati.

Motivi Khokhloma Decorazione tradizionale nelle tonalità del rosso/nero/oro che veniva usata per abbellire oggetti di legno. Si trovano su cucchiai, ciotole, tazze, contenitori e stoviglie. I motivi sono ispirati alla natura russa: fiori, bacche, foglie e viticci. Nonché uccelli e pesci.

Scialli di Pavlovskij Posad Quella del platok è una delle tradizioni artigianali più celebri in Russia. Questi scialli sono realizzati in seta, lana, cotone e decorati con stampe variopinte. Un capo intramontabile che da oltre 200 anni continua ad incantare e anche le ragazze più alla moda lo indossano. Non per sole bàbushki, basta saperli indossare! Un accessorio versatile e sempre utile capace di trasformare un abito semplice o sportivo in una mise particolare. Ce ne sono per tutti i gusti, dai più tradizionali ai più moderni. Il mio primo “Pavlovo” l’ho comprato a San Pietroburgo e non me ne sono mai pentita.

Cosmetica naturale? Natura Siberica

Prodotti ricercatissimi che contengono erbe ed estratti di piante medicinali siberiane, tutti derivati da raccolta selvatica o dalla coltivazione in aziende agricole biologiche locali. L’azienda inoltre è impegnata a livello locale nel creare posti di lavoro per la comunità e avvia programmi per la conservazione e la coltivazione di piante rare. Certificati BDIH, ECOCERT e ICEA e non testati su animali. Semplicemente straordinari, fatene incetta perché in Italia non si trovano molto facilmente e comunque non si trovano tutti. In Russia ci sono numerosi negozi in varie città tra cui ovviamente Mosca e San Pietroburgo. Ecco il link al sito.

Viaggiare in treno mi è sempre piaciuto. Il mio primo grande viaggio è stato in treno, un Inter Rail attraverso tutta la Scandinavia dalla Danimarca alla Finlandia. Un’esperienza lunga un mese cullata dal dondolio del treno, dallo sferragliare delle rotaie e persa nei paesaggi che scorrevano dal finestrino.

Il primo treno in Russia è stato il notturno San Pietroburgo – Mosca. Oxana e Yuri ci avevano messe sul treno, davanti a me stava una babushka con il suo sacchetto delle cibarie (perché non sia mai..). I podstakanniki erano già sui tavolini, l’acqua nel samovar è sempre calda. Se vi state domandando cosa siano i podstakanniki, sono dei porta bicchieri in metallo decorato, li vedrete su tutti i treni a lunga percorrenza. I russi sono grandi bevitori di tè (ve ne ho già parlato qui).

In Russia il treno è un mezzo di trasporto molto amato, oltre ad essere economico.

E’ vero che viaggiare in treno richiede tempo ma sicuramente offre la possibilità di sbirciare più da vicino una Russia più autentica. I treni russi coprono distanze lunghissime e diventano luogo d’incontro e di avventura, soprattutto se si viaggia in platskart la mitica terza classe. La prima cosa da capire è: dimenticatevi la privacy in platskart! Questi sono dei veri e propri vagoni dormitorio open space, con letti a castello lungo un corridoio centrale in cui si affolla l’umanità più varia. Di sicuro non particolarmente comodi ma occasione per fare nuove amicizie, vivere aneddoti divertenti, e conoscere la complessità della società russa. Ah.. e non stupitevi se intorno a voi vedrete gente indossare tuta e ciabatte!! Se il viaggio da affrontare è lungo, meglio mettersi comodi.

Ovviamente non mancano i treni veloci (come il Sapsan, che copre la distanza Mosca – San Pietroburgo in 4 ore o l’Allegro) che  sono un mezzo di trasporto efficiente e moderno tipicamente europeo, sebbene molto meno caratteristico e a cui siamo già abituati. Salvo per una caratteristica che catturerà immediatamente la vostra attenzione: la provodnitsa (o provodnik se è un uomo). Le troverete sia sui treni veloci che su quelli a lunga percorrenza. Sono le addette al vagone (generalmente si tratta di donne), una specie di controllore, hostess, cuccettiste. Quando dovete salire a bordo sono loro che controlleranno i vostri biglietti e documenti e se avrete qualsiasi necessità è a loro che dovrete rivolgervi. Hanno l’elenco di tutti i passeggeri che devono salire a bordo in ogni stazione, ve lo giuro, l’ho visto con i miei occhi! Sui treni a lunga percorrenza si occupano anche della pulizia e dell’organizzazione del  vagone. Sono loro che raccolgono le lenzuola sporche (che si acquistano automaticamente con il biglietto), si preoccupano di non far mancare l’acqua nel samovar, controllano ciò che succede nel vagone.

Quando e dove acquistare i biglietti dei treni?

Gli orari sono consultabili da circa due mesi prima sul sito delle Ferrovie russe. La vendita dei biglietti invece viene aperta 45 giorni prima della data di partenza. Prima si prenota e più basso sarà il prezzo. Man mano che ci si avvicina alla partenza costerà di più. Quindi meglio organizzarsi per tempo! Potete scegliere fra diverse categorie, non sono presenti sempre tutte su tutti i treni. Qui sotto l’elenco con le caratteristiche:

  1. Platzkart (Плацкарт) è la terza classe. Come vi spiegavo sopra si tratta di un vagone letto. I letti sono a castello disposti in gruppi di 4 lungo un corridoio e un’altra fila lato finestrino. Ogni vagone ha due bagni, uno per lato.
  2. Kupè (Купе) è la seconda classe. Sono delle cuccette chiuse da 4 posti. Ogni vagone ha due bagni, uno per lato.
  3. SV (спальный вагон) è la prima classe. Le cuccette sono da due posti letto. Ci sono più bagni per vagone e anche la cabina doccia.
  4. Lux (Люкс) la categoria lusso si trova solo su alcuni treni e le cuccette sono da due letti con bagno e doccia privati.

L’Elektrichka.

Il treno locale, usato dai pendolari per spostarsi dai paesini e piccole città verso le metropoli. Anche qui la fauna che incontrerete è pittoresca. E a proposito di fauna.. Su questi treni il biglietto non è nominale e perciò sarà più probabile avvistare le “lepri”. Ossia i furbi che viaggiano senza biglietto e fuggono appena arrivano in stazione o avvistano un controllore, in russo si dice “idti zaizem” : fare come la lepre.

Insomma viaggiare in Russia in treno è un’esperienza da fare, non perdete questa occasione! I treni russi sono estremamente puntuali, sui treni che attraversano l’enormità del paese ogni viaggio è un’avventura, sui veloci treni moderni l’efficienza non vi deluderà.

Avevo bisogno di bere molto tè, perché non potevo lavorare senza. Il tè risveglia quelle opportunità che sono latenti nell’anima mia

Lev Tolstoj

In Russia il tè è una cosa seria. I russi hanno una loro peculiare cerimonia.

Il samovar

Il protagonista è il Samovar con il suo gorgoglìo che sembra un canto! Si tratta di una caldaia per far bollire l’acqua. Esso faceva parte del corredo di nozze delle giovani spose e si tramandava di generazione in generazione. Era sempre tenuto con grande cura e posto in vista nella stanza.

E’ considerato uno dei simboli della Russia, ma le sue origini potrebbero non essere russe. Secondo alcune versioni fu Pietro il Grande ad importare dalla sua amata Olanda un oggetto simile, secondo altre arriverebbe dalla Cina, mentre secondo altri sarebbe stato inventato a Tula e poi prodotto dall’industriale Demidov nelle sue fabbriche negli Urali. Non si sa!

 Ancora oggi il samovar è immancabile in una casa russa. Anticamente lo si metteva a scaldare sul fuoco di legna, ma si potevano utilizzare addirittura le pigne che conferivano all’acqua un delicato sapore di pino. Oggi perlopiù è elettrico. Quando l’acqua raggiunge la temperatura adatta viene portato in tavola. In cima c’è una piccola teiera con le foglie per l’infusione. Questo tè, molto concentrato chiamato zavarka, viene diluito con l’acqua del samovar direttamente nella tazza. Ancora oggi nelle case dei russi non è insolito trovare questa forte infusione sempre pronta, all’occorrenza diluita con l’acqua bollente.

Samovar e baranka

Come si beve il tè in russia?

Il tè è sempre servito con qualcosa da mangiare: miele, dolci, baranka (dolce a forma di anello), cioccolatini, pan pepato, stuzzichini. Possono essere aggiunti agrumi, fette di limone o anche marmellata di arance o ciliegie. Questa tradizione ha origini antichissime e risale ad una abitudine cinese di epoca Tang, periodo in cui il tè si beveva con varie aggiunte di frutta o verdura e spezie. In Russia nacque nelle stazioni di posta nei secoli XIII e XIX, quando i viaggiatori facevano una sosta per cambiare i cavalli. Bevevano tè per scaldarsi e aggiungevano il limone per migliorare la salute. Anche Stalin durante le riunioni era solito bere una tazza di tè con del limone.  

E’ d’obbligo servirlo con lo zucchero. Originariamente si mettevano dei pezzettini di zollette in bocca e si beveva la bevanda bollente addolcita dallo zucchero. Puskin diceva che l’estasi è bere tè nero con una zolletta di zucchero fra le labbra.

Non c’è un momento stabilito della giornata in cui berlo e spesso diventa un momento di conversazione e relax. E’ il momento ideale per godere della tipica e calda ospitalità russa!

Infine, il tè in Russia si beve bollente! Anticamente c’era l’usanza di versarne un po’ nel piattino quando era troppo caldo. Oggi questa usanza non c’è più, ma il tè viene comunque servito nella tazza con il piattino.

Come è arrivato il tè in Russia?

Secondo una leggenda i primi a raccogliere informazioni sul tè furono i cosacchi nel XVI secolo, ma la vera usanza di bere il tè comincia con Pietro il Grande. Tuttavia non fu nella sua San Pietroburgo ma a Mosca, che il tè divenne una tradizione della tavola russa. Durante il suo regno si hanno i primi scambi commerciali tra Cina e Russia e negli anni Venti del Settecento presero il via le forniture di tè alla Russia in grandi quantità. 

A differenza di quanto avveniva in Inghilterra dove il tè arrivava dall’India, il tè arrivava in Russia dalla Cina. Le navi mercantili inglesi trasportavano un tè essiccato, che quindi aveva un sapore diverso, mentre in Russia arrivava via terra attraverso la Siberia e gli Urali e non necessitava di essere essiccato. Anton Chekov racconta molto bene i patimenti di postiglioni e viaggiatori lungo la scassatissima, infernale, ma ahimè unica via percorribile… “Siberiana”. Si legge ne L’Isola di Sachalin:

è pressocchè l’unica arteria che congiunge l’Europa alla Siberia. E sarebbe proprio lungo quest’arteria – così almeno si afferma – che la civiltà fluirebbe in Siberia! Certo, se ne dicono parecchie, ma se ci sentissero i vetturini o gli impiegati postali, oppure questi concittadini fradici e infangati che affondano nella melma fino al ginocchio per trasportare il tè in Europa, chissà che cosa penserebbero dell’Europa medesima della sua sincerità! A proposito, guardate questo convoglio. Una quarantina di carri carichi di casse di tè, incolonnati lungo il terrapieno…Le ruote sprofondate a metà nei solchi, una lunga fila di ronzini scarni con il collo teso…

A. Chekov – L’isola di Sachalin

Inizialmente il prezzo era abbastanza alto, ma quando si abbassò, la bevanda iniziò ad essere consumata da tutti i ceti sociali. Ovviamene era diversa la qualità del tè.

Quali erano le qualità di tè più diffuse?

Il tè era apprezzato per le sue proprietà, per esempio la capacità di dare energia e combattere la sonnolenza. I più utilizzati erano il tè verde ma soprattutto il tè nero. A San Pietroburgo, erano apprezzate le miscele di tè con aggiunte floreali, ad esempio un famoso tè cinese col gelsomino. Il tè Ivan Chaj (camenerio), dalle molte proprietà benefiche ed era utilizzato in caso di malattia. Ancora oggi i medici ritengono che aiuti ad abbassare la febbre, allevia il mal di testa, riduce il rischio di contrarre il cancro e aiuta a liberare il corpo dalle tossine.

Ma si bevevano anche numerose altre infusioni dalle proprietà benefiche: Lo zveroboj (iperico, comunemente noto con il nome di erba di San Giovanni); il tè di tavolga; le foglie di smorodina (Ribes nero) note fin dal XI secolo, nei monasteri di Kiev e Novgorod; le foglie di brusnika (Mirtillo rosso) considerata  la regina dei boschi russi.

Una casa molto particolare a Mosca

Casa del tè Perlov

Come dicevamo è soprattutto a Mosca che il tè divenne una tradizione tipica. Ai tempi di Caterina II, quando il tè era già diventato una bevanda nazionalpopolare un ricco mercante, Sergej V. Perlov, decise di costruire una casa dove vendere e caffè.  Vi ho già parlato di questa casa molto particolare in un altro articolo. Venne costruita nel 1890. Nel 1896 in occasione della visita di un ambasciatore dell’imperatore cinese, Li Hongzhang, inviato a Mosca per l’incoronazione di Nicola II, le venne dato l’aspetto che conserva ancora oggi simile ad una pagoda cinese.

Perlov voleva far colpo sul notabile e ottenere alcuni importanti contratti d’importazione del tè. L’intero edificio era in stile cinese, appesa vi era la bandiera cinese e i commessi vestivano camicie rosse e gialle. Ornamenti di serpenti, lanterne orientali, vasi e sculture in porcellana cinese ornavano il negozio e i clienti potevano sedersi su cuscini di seta. La casa attirò ben presto l’attenzione dei moscoviti, che da allora cominciarono a frequentarla assiduamente. Un angolo di Pechino a Mosca! In questo video potete ammirarne gli splendidi interni.

La famiglia Perlov aveva iniziato la sua attività nel XVII secolo, con un piccolo banco al mercato dove si vendevano foglie di tè importate e bevande a base di esso.  Col tempo, la società della famiglia avrebbe assunto una posizione di leadership nel mercato del tè, del caffè e della cioccolata in Russia, diventando fornitore ufficiale della corte reale russa e imperiale austriaca, rumena e del Montenegro.

Nel periodo sovietico solo il piano terra rimase adibito a negozio, mentre i piani superiori divennero delle kommunalki (le tipiche case comuni, con una stanza per famiglia e cucina e toilette in comune). Dopo il restauro nel 1997 tornò al suo antico splendore e ancora oggi qui si può gustare un ottima tazza di tè e trovare miscele pregiate spesso introvabili.

Le foglie pregiate giungono dalla Cina, da Ceylon, dall’India, dal Kenya, dall’Inghilterra e da ogni parte del mondo ma anche dalla Russia, come quello famoso della regione di Krasnodar. Si trovano le tradizionali marche russe come la May Tea (il Tè di Maggio), la Staraya Moskva (L’antica Mosca), o i Three Indian Elephants (I Tre Elefanti Indiani). Si possono comprare in bustine ma se volete davvero seguire la tradizione russa meglio le foglie per preparare la zavarka.

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