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Samarcanda non è quello che credete.

Se vi aspettate la mitica Maracanda di Alessandro Magno o la città dei racconti da Mille e una notte, resterete delusi. E’ una città che deve essere affrontata con il giusto spirito per essere capita. Samarcanda è un gran groviglio non solo dal punto di vista storico, culturale, architettonico e urbanistico, ma anche dal punto di vista linguistico. E’ una città in prevalenza tagika che parla soprattutto tagiko ma la lingua ufficiale e l’uzbeko e, come se non bastasse, la lunga dominazione russa ha portato il cirillico e il russo, a cui si aggiungono le minoranze ebree, coreane, rom e ancora altre arrivate con le deportazioni sovietiche. Tutto questo vive nei suoi quartieri! Se la osservate dall’alto ve ne renderete conto: nella parte russa quartieri squadrati, strade dritte, grandi parchi; nella parte tagika una medina di case e stradine.

Samarcanda è una città che si aggrappa a ciò che rimane del suo glorioso passato con tutte le sue forze, ricorrendo a selvagge ricostruzioni e arditi restauri. Ma della Samarcanda antica e timuride resta poco o niente, devastata dal passaggio di Gengis Khan e da secoli di storia travagliata. Il Registan, la necropoli Shah-i-Zinda, l’Afrosiob, la moschea di Bibi-Khanum, l’osservatorio di Mirzo Ulugbek, il mausoleo di Tamerlano Gur-e-Amir… Tino Mantarro nel suo splendido Nostalgistan la definisce una specie di Disneyland. Sono da vedere sia ben inteso, riescono comunque a sorprenderti, ma intorno ad essi cresce una città ben diversa. O forse sarebbe meglio dire più città. Quella imperiale degli zar, quella sovietica e quella moderna, fatta della nuova versione di mnogoetazhniki, di parchi e prati verdi e rigogliosi che rendono la città una specie di oasi in mezzo al deserto, dei quartieri popolari. E anche questa deve essere accettata. Anzi, in realtà è l’ulteriore dimostrazione che a Samarcanda c’è molto di più da vedere e che basta allontanarsi dai sentieri più battuti.

Se volete farvi una buona idea di cosa sia la Samarcanda odierna vi consiglio questo libro Samarcanda. Storie di una città dal 1975 a oggi di Marco Buttino.

Quindi facciamo un po’ il punto della situazione su cosa c’è da vedere a Samarcanda.

Seguitemi!

LA SAMARCANDA ANTICA

Il Registan

Il nome deriva dal persiano e significa “luogo di sabbia” o “deserto”. Era una piazza pubblica, la più importante della Samarcanda timuride. Qui furono costruite tre madrase, le scuole dove si studia il Corano: Ulugbek, Sher-Dor e Tilya-Kori. Oggi se arrivate in questa piazza di sera, entro le 22, assisterete ad un magico gioco di luci. Questa è la cartolina della città e, forse, di tutta l’Asia Centrale. Di giorno le maioliche scintillano sulle facciate delle tre madrase dai minareti tutti storti. Ma all’inizio del Novecento il loro aspetto era ben diverso, come documentato da artisti ricercatori che hanno viaggiato in lungo e largo in Asia Centrale nel XIX e XX secolo. Le foto suggestive custodite nella madrasa di Tilya Kori mostrano facciate scrostate, minareti distrutti e le bancarelle che affollavano la piazza dove oggi si accalcano solo i turisti. In quelle che erano le celle degli studenti ci sono negozietti di souvenir, tappeti e artigianato.

La madrasa Ulugbek fu costruita dal nipote di Tamerlano ed è stata una delle migliori università dell’Oriente islamico nel secolo XV. La madrasa Sher-Dor presenta una particolarità sulla sua facciata, la rappresentazione di animali: due tigri e altri due non ben identificati animali bianchi (forse due daini?). Poiché nell’Islam è vietato raffigurare esseri viventi, questi animali sembrano reali solo in apparenza. Osservandoli bene ci si accorge che sono fantastici. Inoltre presentano dei tagli verdi sul corpo, il che indica che l’artista ha voluto rappresentarli come se non fossero vivi. Solo Allah può dare la vita, l’uomo può limitarsi alla rappresentazione di qualcosa di fantastico o morto. La madrasa Tilya Kori ha una moschea con una strabiliante cupola d’oro e blu. Anche se evidentemente è stata rifatta l’effetto è mozzafiato.

La necropoli Shah-i-Zinda

Questa necropoli è una specie di cimitero monumentale. Il nome è estremamente evocativo e significa “il re vivente”. Il complesso si compone di tre gruppi di strutture: inferiore, medio e superiore collegate tra loro da quattro arcate chiamate chartak. Le tre parti risalgono a epoche differenti che vanno dal IX al XIV e al XIX secolo. Qui sono sepolti parenti di Tamerlano, membri del clero e dell’aristocrazia militare. Si dice anche che qui sia sepolto Kusam Ibn Abbas, il cugino del profeta Maometto e questo rende la necropoli meta di pellegrinaggio.

L’Afrosiob

Il sito archeologico di Afrosiob si trova nella parte nord dell’odierna Samarcanda e fa riferimento alla città di epoca Sogdiana. Qui non troverete palazzi e maioliche, ma solo le rovine della cittadella e delle mura esterne. Tutto ciò che è riaffiorato durante gli scavi di epoca sovietica negli anni ’60 e ’70 è custodito nell’interessante museo che si trova all’ingresso dell’area archeologica.

La fase più antica della città risale al VII-VI sec a. C. quando la città era in mano alla dinastia Eksid. A questo periodo appartengono gli affreschi conservati nell’adiacente museo, forse rappresentazione di un’incoronazione, forse una celebrazione religiosa. La storia di questi affreschi è spiegata molto bene in un video che si può guardare all’interno del museo. Questa potrebbe essere la bella Maracanda che affascinò Alessandro Magno durante la sua spedizione nella Sogd nel 329-327 a. C. La città sopravvisse per molti secoli, prima come parte del regno greco-battriano, poi parte degli imperi turco e cinese e infine conquistata dagli Arabi, fino alla distruzione di Gengis Khan quando venne abbandonata definitivamente. La sede della nuova Samarcanda venne individuata da Tamerlano spostata di qualche chilometro.

La moschea di Bibi-Khanum

Situata proprio accanto al Syob bazar, quando vi ritrovate davanti l’imponente portale di questa moschea vi sentirete piccolissimi. Fu costruita al termine della campagna indiana del 1399 da Tamerlano con l’intento di farne la più grande moschea dell’Oriente islamico. La costruzione piuttosto veloce vide la partecipazione di artisti locali, ma anche provenienti da Azerbaigian, Persia, Khorasan e India. Per darvi un’idea dell’opera mastodontica, c’è la testimonianza di un nobile europeo castigliano, Ruy González de Clavijo, che racconta dell’utilizzo di 90 elefanti per trasportare le pietre preziose necessarie alla sua costruzione. Crollò definitivamente durante il terremoto del 1897. Quella che vediamo oggi è in gran parte un edificio di recente ricostruzione. Circolano molte leggende sulla moschea, come quella di un bacio galeotto tra l’architetto e Saray Mulk Khanym o Bibi Khanum, la moglie preferita di Tamerlano, a cui tra le varie ipotesi, potrebbe essere dedicata la moschea.

L’osservatorio di Mirzo Ulugbek

Ulugbek oltre ad essere principe di Samarcanda e nipote di Tamerlano era un eccezionale astronomo. La madrasa da lui fatta costruire sulla piazza del Registan era un importante centro astronomico. Per coadiuvare la ricerca astronomica della madrasa, Ulugbek fece costruire un osservatorioconsiderato ancora oggi uno dei migliori dell’Islam medievale. Per darvi un’idea delle incredibili doti di astronomo di Ulugbek pensate che ha stabilito la durata dell’anno solare con un errore di pochi SECONDI rispetto all’attuale computo! Inoltre è riuscito a determinare l’inclinazione assiale della terra in 23°52, valore tuttora confermato. Ulugbek venne assassinato da fanatici religiosi nel 1449 e il suo osservatorio venne distrutto con lui. Per molto tempo la sua posizione rimase sconosciuta. Fu riscoperto solo nel 1908 dall’archeologo russo V.L. Vyatkin grazie ad un documento del XVII secolo e poi grazie agli archeologi sovietici fu fatto il possibile per preservare ciò che ne restava. Oggi si conserva il grande sestante protetto da una copertura a tunnel e nel piccolo museo si possono scoprire molti interessanti dettagli.

LA SAMARCANDA RUSSA E SOVIETICA

Vasilij Vereshchagin è famoso per i suoi quadri che documentano la conquista del Turkestan da parte dell’impero russo. Partecipò alle campagne militari, si ritrovò coinvolto nell’assedio della fortezza russa di Samarcanda, viaggiò in lungo e largo in Asia Centrale per documentare le usanze degli abitanti e i paesaggi. Le tele che fanno parte della sua grande serie di dipinti sul Turkestan mostrano con crudezza quegli eventi storici e le popolazioni locali che incontrò. Una straordinaria testimonianza diretta!

Quella russa e sovietica sono due parti della Samarcanda moderna che non possono essere escluse dalla visita della città se davvero si vuole apprezzarla appieno. Vi ritroverete catapultati in tutt’altre atmosfere! Il Boulevard Abramov, la Facoltà di Scienze Naturali dell’Università Statale, un grazioso edificio color pastello in stile russo ex sede di una banca cinese, bassi edifici in mattoni, la Cattedrale di Sant’Alessio e quella cattolica di Giovanni Battista, ampi viali alberati con immensi platani e aiuole verdissime.

Un’esperienza da non perdere è la visita alla Dom Filatova, sede dell’antica vineria Khovrenko. Vi starete chiedendo… ma il vino? In Uzbekistan? La risposta è sì, l’Uzbekistan è uno dei maggiori produttori di uva dell’Asia Centrale e la tradizione vinicola è antichissima portata qui probabilmente ai tempi degli arabi. La cantina Khovrenko è stata fondata da Dmitriy Filatov, di cui conserva il nome, nel 1868 e già allora ottenne importanti riconoscimenti in Europa. L’enologo e chimico russo Michael Khovrenko rilevò l’azienda e diede nuovo impulso alla produzione. Oggi nel museo si conservano ancora bottiglie delle annate più importanti e si possono fare tour guidati e degustazioni.

Se invece siete appassionati del periodo sovietico basta fare un giro fuori dal centro per imbattersi in mosaici, khrushchyovki che sostituirono i tradizionali mahalla (grandi case con una corte centrale dove vivevano intere famiglie tutte insieme), fabbriche ed edifici del periodo.

LA SAMARCANDA DIETRO I MURI

Samarcanda è una città multietnica. Qui convivono uzbeki, tagiki, kirgisi, russi, ebrei, lyuli, coreani e altri. Un vero e proprio crocevia di popoli. Ma per trovarla tutta questa umanità vera bisogna allontanarsi dai luoghi cartolina tirati a lucido e assediati dai turisti e addentrarsi nella città moderna, ma soprattutto al di là di quei muri costruiti per nascondere la parte più povera della popolazione. In una zona che si estende tra il Registan e Sha-i-Zinda e la moschea Bibi Khanum si trova il quartiere ebraico. La presenza di ebrei provenienti da Bukhara a Samarcanda ha una storia molto antica. Le prime documentazioni sulla comparsa di questi ebrei sono rare ma risalgono al XII secolo e la loro storia è davvero interessante. Oggi questo antico quartiere è un melting pot etnico.

Un’altra comunità misteriosa e antica è quella dei Lyuli. Purtroppo, oggi vive discriminata e ai margini della società uzbeka, che vede in loro solo ladri e accattoni. Questi rom dell’Asia centrale, sono imparentati con i Rom e i Sinti dell’Europa e del Medio Oriente, ma potrebbero essere originari dell’India. Il poeta medievale persiano Ferdowsi parla nello Shahnameh di musicisti indiani inviati come dono al re persiano Bahram Gur dal re indiano Sangulu. Ma non ci sono evidenze storiche a favore di questa tesi. Di certo non sono sempre stati considerati dei reietti in Asia Centrale.

Oggi fanno parte di una comunità isolata e preservano un sistema di caste. La maggior parte della popolazione uzbeka li considera sporchi, ladri, stregoni e incuranti delle leggi. Quello della loro integrazione è un problema molto grosso in Uzbekistan. Efficaci progetti di integrazione furono sviluppati in epoca sovietica quando si cercò di sedentarizzarli, inserirli nel mondo del lavoro e alfabetizzare i bambini, furono create le prime attorie collettive tsygane (цыганы – Tsygani era ed è il termine con cui vengono indicati in russo). Oggi non esistono politiche di questo tipo sponsorizzate dallo stato nei confronti della comunità Lyuli. Non ci sono progetti che lavorino sulla destigmatizzazione, sulla sensibilizzazione, sull’inclusione o sull’istruzione. Ci sono però progetti a livello europeo che possono essere un esempio per la realtà Lyuli in Uzbekistan.

FUORI SAMARCANDA

La cartiera

“La migliore carta del mondo viene prodotta a Samarcanda” disse il principe Babur discendente di Tamerlano e fondatore della dinastia Moghul. Fin dall’antichità Samarcanda era famosa per la sua carta. Una carta speciale fatta con il gelso che cresceva rigoglioso in tutta la regione. A pochi km dalla città la fabbrica di carta Meros, fondata dai fratelli Mukhtarov a Koni Ghil, è ancora oggi un’eccellenza del territorio. Costruita con immensi sacrifici, questa cartiera ha fatto rivivere il metodo antico di produzione della carta di seta. Un lavoro artigianale che utilizza materie prime naturali di qualità e che dà vita a una carta che può durare per secoli.

Il posto è un piccolo paradiso di alberi, piccoli fabbricati in mattoni di fango, ruscelli e un mulino in legno come ce n’erano in gran quantità intorno a Samarcanda. Qui i visitatori possono assistere a tutto il processo di produzione, acquistare souvenir fatti interamente di questa preziosa carta, rilassarsi e rifocillarsi. Il suo instancabile fondatore Zarif Mukhtarov è un vulcano di idee e ha intenzione di continuare espandere questo piccolo paradiso con nuovi laboratori, programmi culturali e workshop.

Avete visto il film “Goodbye Lenin”? Siamo nei turbolenti giorni che precedettero il crollo del muro di Berlino, Christiane, convinta comunista della Berlino Est e donna già malata, intravede il figlio Alex ad una manifestazione. Dallo shock perde i sensi e batte la testa andando in coma. Si risveglia che ormai il muro è caduto, ma lei non lo sa e non lo scoprirà mai, perché fino alla sua morte Alex cerca di tenerla all’oscuro di tutto ciò che è successo.

Nel film emerge il sentimento di “nostalghja” abbastanza tipico in tutto l’ex Est comunista, ad esempio quando Christiane vuole mangiare proprio una particolare marca di cetriolini a cui era tanto affezionata. E’ un sentimento intimo e personale che ricorda un po’ quello di Proust per le madeleines. Il passato socialista a Budapest è un eco che fatica a trovare i suoi spazi. In parte sopravvive nella memoria di chi ha vissuto quell’epoca, in parte cerca di non scomparire travolto dal tempo e dalla smania di cambiare pelle. Si nasconde in piccoli dettagli.

Proprio qualche giorno mi è capitato di leggere di una petizione lanciata nella città, per salvare le insegne al neon di epoca sovietica che illuminavano le notti di Budapest, come una Parigi comunista, perché rischiano di andare perdute. Parlandone con Attila ho ritrovato quel sentimento proustiano. “Sono un ricordo legato alla mia infanzia. Il comunismo è stato parte del nostro passato, della nostra storia, perché dovremmo rinnegarlo?”.

Mettendo da parte quello che può essere stato il contesto storico e politico sono memorie affascinanti che meritano di essere preservate. Budapest non è una città facile da capire, è bella, è una delle città più visitate al mondo, ma capirla è tutt’altra cosa e spesso si rischia di viverla superficialmente. La storia qui si è susseguita in una maniera travolgente. In cento anni è passata attraverso l’Impero Asburgico, la breve Repubblica Socialista d’Ungheria nel 1918, la restaurazione ultraconservatrice di Miklós Horthy, la Seconda Guerra Mondiale, la repressione stalinista e la sanguinosa rivoluzione del ‘56. E poi i quarant’anni di comunismo che pure qui ha assunto una forma tutta sua, tanto che l’Ungheria viene definita la “baracca più felice” all’interno del campo sovietico. Poi c’è stata la fine dell’Unione Sovietica e la nuova spinta ultranazionalista dell’attuale governo.

Da un regime all’altro, gli ungheresi hanno sempre lottato per la propria libertà e indipendenza. In quest’ultima fase storica si sta cercando di cancellare tutto ciò che non sia magiaro e il periodo 1949-1989 non fa eccezione. Ma nonostante gli sforzi, alla fine qualcosa della Budapest socialista ancora sopravvive e ancora qualcuno cerca di preservarne la memoria.

In questo post troverete una piccola guida (sicuramente non esaustiva!) alle tracce del comunismo ancora visibili nella città. Seguitemi.

Le luci al neon

Vengono associate a modernità e progresso. Al di là della Cortina di ferro erano più il simbolo di un’illusione. Senza voler idealizzare l’epoca comunista, sono parte di un passato quotidiano e hanno un fascino che riside nella loro estetica e nella loro capacità di veicolare messaggi. Questi neon erano un modo per “educare” la popolazione, si trasformarono in uno strumento di propaganda attraverso il quale si voleva far passare una sensazione di stabilità, modernità e benessere.

Sponsorizzavano attività e messaggi più disparati: dalle agenzie di viaggio ai caffè, ai negozi di alimentari, ristoranti, gas naturale, negozi di antiquariato, raccomandazioni al traffico come: “Attenzione, Pazienza e Educazione”. Ed erano così tante da far guadagnare a Budapest la fama di Capitale europea del neon. Con il crollo del comunismo sempre più spesso ne venivano cancellate le tracce dalle strade e queste insegne che prima illuminavano la città vennero man mano spente.

Oggi molte sono fatiscenti, stanno lentamente scomparendo davanti agli occhi delle persone, spesso senza che queste abbiano interesse a fare qualcosa. Qui potete trovare il racconto dell’interessante progetto che si sta occupando di salvarle dalla distruzione, grazie al lavoro di una designer, Luca Patkos. Il lavoro si propone restaurare (potete leggere un esempio qui) e ricollocare nel luogo originario, radunare in un museo o anche semplicemente spostare in luoghi protetti queste insegne. E’ stata creata una mini esposizione on line sul sito Neon Budapest e ci potete trovare anche una mappa con la collocazione.

E sono veramente tantissime, sparse in tutta la città! Invece nel cortile del Museum of Electrical Engineering, un bell’edificio in stile Bauhaus, ne trovate alcune già restaurate.

Memento Park

Il Memento Park è un esempio dello strano e ambiguo appeal esercitato dal brutalismo postcomunista. E’ stato inaugurato nel 1993 quando l’Unione Sovietica non esisteva più da soltanto da una manciata di anni.

Visitare questo Parco è un momento di riflessione, una lezione di storia sussurrata. Una storia che non deve essere cancellata, ma le cui cicatrici devono essere sfruttate. A darvi il benvenuto sono gli “stivaloni” di Stalin, copia di una immensa statua abbattuta durante la rivolta antisovietica del 1956, e una Trabant azzurrina. Nel grande piazzale sono riunite le monolitiche statue che una volta glorificavano il proletariato, i leader del Partito e l’Armata Rossa, in centro città. Sono statue realizzate tra il 1945 e il 1989 ed avevano un ruolo fondamentale nella propaganda del regime comunista.

Quando cadde il Muro di Berlino in tutto il mondo sovietico i simboli del comunismo vennero distrutti, ma in molti paesi si decise di raccogliere questi simboli e radunarli in musei e parchi. Il Memento Park è uno di questi (a Mosca ad esempio c’è il Museon). Nel 2021 quando l’abbiamo visitato noi c’erano dei lavori di restauro ma in generale purtroppo, a causa della mancanza di fondi tutto ha un aspetto abbastanza trasandato.

Le statue sembrano essere posate un po’ alla rinfusa, ciuffetti d’erba spuntano nei sentieri, basamenti delle statue scrostati, un’esposizione di statue di Lenin che sembrano essere accatastate in un magazzino, un edificio posticcio ospita il piccolo cinema dove viene proiettato il film documentario “La vita di un agente”. Nella sala accanto al cinema viene raccontata la storia degli eventi della Rivoluzione del 1956 e dei cambiamenti politici del 1989-1990. Il Museo è di proprietà dello Stato, ma di fatto è gestito da alcuni privati con i proventi dei biglietti e del negozio di souvenir.

Si raggiunge abbastanza facilmente con i mezzi pubblici. Prendete la metropolitana M4 Kelenföld e dal piazzale dei bus si può prendere il 101B, il 101E o il 150 (il viaggio dura circa 25 minuti).

Bambi Eszpresszó

Il Bambi Eszpresszó non è una rivisitazione in stile retrò, no, lui è proprio rimasto così, impassibile e immutabile allo scorrere del tempo. Bambi è un tipico presszó (un bistrot) ungherese. L’origine del nome arriva proprio dal cerbiatto della Disney – qualcun altro sosteneva che arrivasse da un omonimo soft drink, una bevanda a base di arancia, molto in voga in quegli anni.

Alla sua realizzazione hanno partecipato architetti e designer ungheresi rinomati come Lívia Gorka (le ceramiche appese alla parete sono sue) e Miklós Erdély (a lui si attribuiscono le piastrelle dietro al bancone). Fu luogo di ritrovo di artisti, letterati, imprenditori. Qui di turisti ne troverete davvero pochi, per lo più i frequentatori sono locali, uomini panzuti che bevono birra e leggono il giornale, amici che si ritrovano dopo il lavoro, giovani universitari, signore del quartiere fuori per un drink. Le sedie all’interno, con il rivestimento rosso in finta pelle, sono ancora quelle in uso sin dall’apertura negli anni Sessanta.

E’ un luogo dove puoi mangiare e bere a prezzi stracciati (una birra piccola costa tipo 1,5 euro) e la colazione è il suo cavallo di battaglia.  

Anche Budapest ha la sua Statua della Libertà

Sorge sulla imponente collina dove si trova la Cittadella. E’ un luogo dove si respira la travagliata storia ungherese, la continua lotta per la propria indipendenza e libertà. Un luogo che sembra essere simbolo di libertà tanto quanto oppressione.

La Cittadella fu costruita nel 1854 dagli Asburgo come strumento di controllo per prevenire una nuova ribellione ungherese. Sfruttando la posizione dominante sulla città, fu in seguito utilizzata sia dai Nazisti che dall’Armata Rossa. I Comunisti decisero di erigere un monumento a memoria della vittoria ottenuta sui nazisti. Il complesso era costituito da cinque statue: due erano soldati dell’Armata Rossa – finiti poi al Memento Park; una donna che regge una torcia e un uomo che combatte un drago a cinque teste; e infine la Statua della Libertà (Szabadság Szobor), una donna che tiene una foglia di palma con entrambe le mani alzate verso il cielo e che domina la città.

La bellissima arte decorativa russa è variopinta e antica. Il legno è un materiale facilmente accessibile e per questo motivo molte delle tradizioni pittoriche popolari si trovano proprio su questo supporto. Le isbà erano spesso decorate con intrecci di fiori e uccelli e motivi decorativi astratti, sia internamente che esternamente. Ma non solo le case venivano dipinte anche mobili, stoviglie cassepanche, scatole, slitte e i magnifici filatoi. Gli stili tradizionali della pittura popolare russa sono tipici ognuno di una regione precisa.

Vediamo alcuni tra i più famosi, così avrete qualche spunto per un souvenir originale (leggete qui per altri interessanti suggerimenti)

Nero, oro, rosso e fiori: Khokhloma

Gli elementi tradizionali sono le bacche rosse e succose di sorbo e fragola, fiori e rami, a volte uccelli, pesci e animali. Il tutto dipinto in oro, rosso, verde su sfondo nero. ХОХЛОМÁ nasce nella seconda metà del XVII secolo in villaggi situati sulla riva sinistra del Volga, nella provincia di Nizhny Novgorod. I prodotti lavorati con questa decorazione venivano trasportati e venduti nel grande centro commerciale di Khokhloma e da qui in tutta la Russia, in Asia e nell’Europa occidentale.

La si può trovare sugli oggetti più impensabili. Originariamente era una decorazione utilizzata per abbellire stoviglie e oggetti di artigianato in legno, ora khokhloma è utilizzata anche per aerografare auto e aerei, decorare lattine, facciate di edifici, oggetti artistici.

Il magnifico nord nella pittura Mezen

Mezen è originaria della regione di Archangelsk. Protagonisti di questo decoro sono animali (in particolare cavalli e renne) e piante stilizzati, a cui si aggiungevano ornamenti astratti. Hanno uno stile un po’ preistorico, e infatti somigliano ai petroglifi della Carelia. I colori tipici sono un bel rosso vivace, ottenuto utilizzando argilla rossa e il nero ricavato dalla fuliggine mescolato con resina di larice.

Ogni elemento e ricciolo del disegno aveva un significato specifico ed era disposto in modo speciale e ovviamente rifletteva la vita delle persone del Nord che lo avevano creato. Una menzione particolare la meritano i filatoi. I famosi “prjalka” sono una vera e propria opera d’arte, nonostante si tratti di un oggetto di uso comune, ancora oggi sono considerati un oggetto da collezione.

Quelli del Nord erano realizzati in un pezzo unico di legno massello che comprendeva radice e fusto dell’albero, generalmente pioppo, abete rosso o betulla. Quelli della regione del Volga invece erano compositi e finito il lavoro si potevano smontare ed usare come ornamento appeso alle pareti. I filatoi erano un pezzo molto importante della dote di una ragazza, erano costosi e venivano trattati con grande cura.

L’eleganza del blu e bianco

Ghzel è un tipo di decorazione su ceramica, elegante e raffinata, con disegni blu cobalto che spiccano su una finissima ceramica bianca. Prende il nome da un piccolo villaggio non lontano da Mosca famoso fin dai tempi di Ivan Kalità per essere ricco di argilla di alta qualità, tanto che fu usata come materiale per la fabbricazione di nuovi recipienti farmaceutici e alchemici. Ricorda un po’ la nostra ceramica di Faenza o le famose porcellane cinesi.

L’abilità dei maestri di questo territorio è ormai nota in tutto il mondo, tanto che il fascino di questa tecnica pittorica ha contagiato anche famosi stilisti come Valentino, Cavalli o artisti eccentrici come Lady Gaga. Spesso si trovano prodotti in maiolica venduti come porcellana di Gzhel. La vera porcellana è leggera, sottile, brilla attraverso la luce, trattiene il calore, emette un suono squillante quando viene colpita leggermente. Anche dai disegni si può capire se si tratta di un lavoro fatto a mano o stampato. Sul fondo dell’originale ci sarà sicuramente una marcatura, il timbro GFZ, le iniziali dell’autore.

Bouquet di fiori

La pittura di Zhòstovo è originaria della regione di Mosca. Qui, un gruppetto di villaggi divenne popolare all’inizio del XIX secolo per la presenza di numerosi laboratori artigianali che producevano oggetti in lacca di cartapesta. Quella della lacca su cartapesta è una delle tradizioni artistiche più originali e ricca dell’artigianato russo sviluppatasi all’alba del XIX secolo e divenuta sempre più rinomata, non solo in Russia. Molti di questi capolavori sono conservati al Museo Russo di San Pietroburgo, ecco perché è un peccato che spesso questo museo venga trascurato in favore dell’Ermitage (che è imperdibile, per carità!).

Verso la fine del 1700 un commerciante moscovita che produceva cartapesta, Piotr Korobov, affascinato dalle tabacchiere laccate tedesche ammirate durante un viaggio in Germania, decise di importare la tecnica in Russia dando vita alle lacche di Fedoskino. La pittura di Zhostovo e dei villaggi adiacenti ha avuto origine dalla miniatura di Fedoskino e dalla pittura artistica in lacca di vassoi di metallo, esistente nella città di Nizhny Tagil. Gli eleganti vassoi neri con splendide decorazioni floreali colorate ne sono l’espressione artistica più tipica.

Fiori su sfondo nero

Protagonista di questa tecnica decorativa è il bouquet di fiori: rose, peonie, margherite, tulipani, fiori di campo. I fiori possono essere disposti in ghirlande attorno al perimetro del vassoio, raccolti in mazzi di tre o cinque fiori, raffigurati in cestini, spesso sono accompagnati da frutti, bacche o uccelli. Vengono utilizzati colori ad olio su trementina, applicati con pennelli morbidi. La verniciatura multistrato viene eseguita in più fasi, ognuna delle quali è accompagnata da una lunga asciugatura.

L’esecuzione della composizione non è né dal vero né segue modelli. L’artista improvvisa, con la propria fantasia e tecniche compositive, quindi non ci saranno mai due vassoi identici. Gli artisti non avevano limitazioni alla loro creatività e potevano usare i colori che preferivano. Il colore del fondo generalmente era il nero, ma potevano essere utilizzati anche il rosso, il verde, il blu e l’avorio.  Oltre ai fiori inizialmente erano comuni anche soggetti come i paesaggi, la trojka trainata da cavalli a cui si sono aggiunti anche temo tratti dalle fiabe e scene di vita quotidiana. Se andate sul sito ufficiale dell’Atelier di Zhostovo vi potete fare un’idea degli splendidi lavori che vengono realizzati ancora oggi.  

La pittura “della Dvina settentrionale”

Severodvinskaja significa “della Dvina settentrionale”, un fiume del Nord che a partire dal XVI sec fu una grande arteria di trasporto in Russia. Fiorirono le città e i monasteri che si trovavano lungo il suo corso divenendo grandi centri commerciali e culturali: Kargopol, Belozersk, Solovetsky, Kirillo-Belozersky. La pittura popolare, nata sulle rive dei fiumi Dvina settentrionale e Mezen, è un’arte distintiva.

Questa pittura tradizionale trasformò oggetti della vita contadina in vere e proprie opere d’arte. Affonda le sue radici nell’antica arte russa: la pittura monumentale, le icone, le miniature. Fa uso di simboli pagani come l’albero della vita, l’uccello Siri e il grifone, ma anche ramoscelli, bacche, fiori, uccelli, cavalli e motivi geometrici.

Ogni elemento ha il suo significato, come l’albero simbolo della vita stessa o il trilistnik (trifoglio) simbolo della trinità come filosofia di vita (nascita-vita-morte, terra-acqua-aria). Si possono individuare tipologie diverse in questo stile decorativo. In alcune i motivi più ricorrenti sono Sirin e i cavalli, altre sono dominate da ornamenti floreali e viticci, oppure da scene di vita quotidiana, rituali e feste dipinti in uno stile che ricorda le iconostasi. I colori tipici su uno sfondo bianco sono il rosso, il giallo e il verde, il nero e l’ocra.

Ci sono molti modi per studiare la cultura di un popolo, uno di questi è l’artigianato. Acquistare uno di questi oggetti da un artigiano locale è un modo per preservare le tradizioni locali e contribuire alla loro sopravvivenza.

L’alfabeto cirillico non è così complicato come può sembrare, con un po’ di pratica lo si impara abbastanza facilmente. E’ composto da 21 consonanti, 10 vocali e 2 simboli. Con un pò di pratica nel giro di un paio di giorni si impara, soprattutto se avete fatto studi classici.

Ma come è nato questo алфавит? Due fratelli di Tessalonica, figli di commercianti che intrattenevano relazioni con le popolazioni bulgare della Macedonia, vengono scelti dall’imperatore bizantino Michele III e dal Patriarca come missionari presso i popoli slavi, per la loro famigliarità con la lingua del posto.

L’alfabeto glagolitico

Si chiamavano Costantino e Metodio. Durante la loro missione introdussero la scrittura nel mondo slavo, mettendo a disposizione di quella popolazione i testi sacri dei cristiani. Inventarono un alfabeto che venne chiamato glagolitico, da Glagòl (Глагол)= verbo. I suoni della parlata slava vennero trascritti utilizzando un pout pourri di lettere, in parte prendendo in prestito dal greco, in parte spigolando in altri alfabeti – copto e samaritano – ma anche inventando di sana pianta lettere per quei suoni, propri dello slavo, che non avevano corrispondenti in altre lingue.

Dallo slavo comune al moderno alfabeto cirillico

La lingua che tradussero in scrittura era probabilmente il bulgaro della Macedonia. Ma questa lingua aveva una stretta parentela con le altre slave, tutte derivate dallo “slavo comune”, parlato prima che massicce migrazioni di popoli spezzassero l’unità degli Slavi. Per questo motivo i testi tradotti da Costantino e Metodio ebbero così ampia diffusione. Man mano che venivano convertite al cristianesimo le popolazioni slave trovavano in una lingua facilmente comprensibile tutti i testi della loro fede. In questo modo manoscritti giunsero fino a Kiev ed ebbero un ruolo importantissimo nella cristianizzazione della Russia.

Ma perché allora l’alfabeto russo si chiama “cirillico”?

Costantino quando prese i voti cambiò il suo nome in Cirillo e con questo nome iniziò la sua opera missionaria. L’alfabeto che aveva creato con il fratello Metodio (chiamato come abbiamo visto glagolitico) non portava il suo nome e nel corso del tempo subì varie modifiche a seconda della regione. Forse fu uno dei suoi seguaci, Clemente di Ocrida, che elaborò una nuova scrittura basata sull’alfabeto greco e su quello glagolitico e la chiamò cirillico in onore del Santo.

Come tutte le cose vive, le lingue evolvono e così la scrittura. Anche quell’alfabeto cirillico delle origini nel corso dei secoli ha subito numerose trasformazioni, molte lettere sono sparite e altre si sono semplificate nella grafia. Indovinate chi poteva mai aver deciso la prima sostanziale riforma della lingua e dell’alfabeto russo? Proprio lui…il rivoluzionario Pietro il Grande. Ridisegnò molte lettere e introdusse i numeri arabi. L’alfabeto russo a 33 lettere come lo conosciamo oggi invece fu opera dei bolscevichi attraverso la riforma del 1917.

Dopo tutto questo spiegone vi presento le lettere dell’alfabeto cirillico

Su alcune ci sono delle storie interessanti. Per comodità utilizzo solo lo stampatello maiuscolo (vi risparmio lo stampatello minuscolo, ma soprattutto il CORSIVO). Per comodità le ho suddivise in vari gruppi:

Quelle identiche al latino per pronuncia e scrittura

A (a)

Е (je) Identica alla E dell’alfabeto latino. Nell’antico slavo ecclesiastico era rappresentata da questo strano segno Ѥ.

Ma in questo gruppo si trova anche la Ё (jo)… Eh si fa presto a dire jo! Il problema è che le dieresi non vengono più indicate, le troverete stampate solo nei libri per bambini e libri di testo per studenti stranieri. E quindi come fai a sapere se ti trovi di fronte a je o a jo? Niente.. lo devi sapere! La storia di questa lettera è travagliata. In circa duecento anni si sono susseguite interminabili discussioni sul suo utilizzo. Fin dalla prima apparizione il suo uso è rimasto facoltativo, ma questo ha causato problemi (che continuano ancora oggi) non solo agli stranieri ma anche ai russi.

Nomi e cognomi pronunciati in maniera errata, confusione in parole scritte nello stesso modo ma che cambiano completamente di significato a seconda della pronuncia (come “поем” [“pojèm”, “mangeremo”] – “поём” [“pajòm”, “cantiamo”]), parole storpiate (anche dai russi) come свёклa (‘svjòkla’, la ‘barbabietola rossa’) spesso storpiata in ‘svieklà’. Tuttora non ci sono disposizioni ufficiali e quindi il problema rimane. Per la serie.. cose che possono succedere solo in Russia!

Nella trascrizione inglese è stato fatto l’errore comune di trascrivere la desinenza -ёв con -ev, formando trascrizioni come Khrushchev e Gorbachev. La trascrizione italiana si è attenuta in questo caso più alla pronuncia reale, trascrivendo in Gorbaciov (traslitterazione scientifica: Gorbačëv) o Krusciov (traslitterazione scientifica Chruščëv), è però possibile trovare Gorbacev o Khruscev.

K (ka) Di chiara derivazione greca anche se ci sono somiglianze con la lettera ebraica kof o nell’alfabeto semitico.

O (o) Identica alla O latina. Il problema della o in russo è che si legge o solo quando è tonica, cioè accentata. Diversamente diventa una a. Ad esempio молоко=latte ha solo l’ultima o accentata e dunque si pronuncia malakò. Ma ovviamente come nel caso della Ё c’è il problema che l’accento non è indicato e quindi bisogna sapere dove cade nella parola.

Т (te) L’origine della lettera cirillica è la lettera greca tau (Τ, τ). Nell’alfabeto glagolitico potrebbe derivare o dalla forma minuscola corsiva della lettera tau, o alla lettera semitica tav (ת). La stessa tau greca potrebbe avere forme fenicie.

М (em)

Quelle identiche al latino per scrittura ma si pronunciano diversamente

В (ve) Questa lettera è facilmente confondibile con la B latina, solo che in russo è invece una V. Deriva dal greco.

Н (en) Sembra una acca ma si pronuncia N

Р (er) Attenzione a non confonderla con la nostra P latina. In russo è una R. Deriva dalla greca ро (Ρ). Nella scrittura corsiva, la lettera p era spesso scritta orizzontalmente. In combinazione con la lettera y diventava l’abbreviazione della parola “rublo”.

fonte wikipedia

C (es) Anche questa è facilmente confondibile con la lettera latina C, ma in russo è una S. L’origine della lettera cirillica è il sigma greco nella versione bizantina a forma di C “sigma lunata” (Ϲ).

Le lettere dell’alfabeto greco

У (u) Si pronuncia U e non i come siamo abituati a pronunciarla in inglese.

X (kha) Derivata dalla lettera greca chi (Χ).

Г (ghe) Deriva chiaramente dalla lettera greca gamma.

П (pe) Anche questa lettera l’avrete certamente già incontrata. Si tratta del famoso Pi greco π, somiglia anche al semitico ne (ף).

Ф (ef) Deriva dalla greca phi (Φ, φ). Negli alfabeti antichi, è chiamata “frt” O “fert” che potrebbe lasciare intendere una derivazione onomatopeica, come il suono prodotto dai cavalli: “F-rrr”. Nel russo moderno è utilizzata spesso per i prestiti da altre lingue.

Д (de) La lettera deriva chiaramente dalla delta greca Δ ma nella forma cirillica si distingue per quei due piedini negli angoli in basso. La particolarità di questa lettera è che nel corsivo è completamente diversa. Nel corsivo maiuscolo è uguale alla nostra D, nel corsivo minuscolo è una g. Evviva la confusione… tre simboli per una sola lettera!

Л (el) Sicuramente avrete già incontrato nella vostra vita la lettera Λ, da cui deriva la Л.

E veniamo a quelle strane davvero…

Б (be) L’antico nome di questa lettera, di derivazione greca era buki. La sua forma nel cirillico deriva da una forma di beta greca (β), ma la forma nell’antico glagolitico non è chiaro da dove derivi, forse dalla scrittura semitica.

Ж (zhe) Chiamata anche il ragnetto o la ranocchia che nuota. Non è chiaro da dove derivi questa lettera, le teorie sono diverse. Sicuramente non ha un analogo nell’alfabeto greco o latino. Potrebbe derivare dalla glagolitica živěte Ⰶ, ma le radici di questa lettera sono confuse e lasciano spazio a varie interpretazioni: scrittura copta, dal segno “Janja” (Ϫ), monogramma del nome di Gesù Cristo, l’antica runa Yera.

З (ze come s di rosa) Nello slavo antico ed ecclesiastico il suo nome era земля=terra.

И e Й (i breve) (i) Le origini di questa lettera potrebbero risalire all’alfabeto fenicio. La Het sarebbe passata attraverso il greco Η e il latino H. La stanghetta col tempo ruotò in senso antiorario. I breve (i kratkoe) è in realtà una consonante che viene utilizzata solo in accompagnamento con una vocale.

Ц (tse) La provenienza è dalla lettera ebraica tsade (ץ ,צ), la si trovava anche nel glagolitico. Restano aperte varie altre derivazioni ad esempio anche nella lettera etiope ሃ o in copto lettera ϥ. E’ pronunciata come il suono ts.  La si può incontrare in parole dove sostituisce la c latina come цирк (circo).

Ч (Che) Deriva dalla fenicia tsade. Il suono è quello della C latina.

Ш e Щ (sha) Anche per questa lettera le radici affondano nel mistero. Lettere simili erano presenti in molti altri alfabeti quando venne ideato il glagolitico (da cui è stata assunta). La ritroviamo nella lettera etiope ሠ (saut), in ebraico ש ( shin), nella lettera copta ϣ (shai). Probabilmente risalgono alla lettera fenicia Shin (lettera fenicia “Sin”). Alcuni studiosi la fanno risalire addirittura ad un geroglifico egizio che denota un campo allagato:

Щ modifica leggermente il suono di Ш rendendolo più “forte”.

Ы (i) Su questa lettera ci sarebbe da farci un trattato, anche solo per la sua pronuncia che somiglia ad una i ma non è una i. E’ un suono che nell’italiano proprio non esiste, che spesso finisce per essere pronunciata come una i (che non si può sentire!) ma è un suono a metà tra una i e una u. Nella lingua antica era chiamata Jeri.

Э (e) Si pronuncia come una nostra E aperta. Non sono molte le parole che contengono questa lettera. Potrebbe derivare da un’antica lettera greca ϡ (sampi) o dall’ebraico.

Ю (ju) e Я (ja) Anticamente erano una combinazione di due lettere greche che si sono fuse.

I simboli

Segno debole ь e segno forte Ъ non sono lettere ma soltanto due segni che definiscono la pronuncia della consonante che seguono. Fanno parte di quei casi in cui tiri i dadi e speri che sia giusto dove li hai piazzati (un po’ come gli accenti). Con la pratica impari dove sono in molte parole, ma ti rimane sempre un dubbio!

Ь ammorbidimento della consonante precedente.

Ъ ha una storia particolare. Nella Russia zarista veniva aggiunto alla fine di tutte quelle parole che terminavano con una consonante. Журнал (rivista) si scriveva журналъ. Con la riforma dopo la Rivoluzione questa regola venne abolita e oggi viene utilizzato per separare le lettere in alcune parole. Viene posto tra prefisso e radice nel caso in cui la radice della parola inizi con una: E, Ё, Ю, Я.

Un simbolo per una testata giornalistica

Spesso le testate giornalistiche vengono identificate con delle sigle. Ad esempio il New York Time, è NYT. La testata Kommersant ha fatto di questo simbolo il suo acronimo. Tant’è che ancora oggi capita spesso di leggere: “come scrive Ъ” per riferirsi ad un articolo di Kommersant. In origine il segno forte si trovava alla fine del nome: KommersantЪ.

Attenzione.. Articolo un po’ nerd di storia dell’arte in cui vi porto nel magico mondo degli Scacchi di Lewis. Se state programmando un viaggio a Londra vorrete mica non andare al British Museum. E queste meraviglie si trovano proprio lì e rischierebbero di passare inosservate in mezzo a tutto il popò di roba che offre questo Museo. A meno che… Voi non siate dei fanatici di arte medievale, in quel caso potreste saperne più di me e allora mi scusino!

Misteriosi e intriganti, proprio come la storia della loro scoperta. Sono stati ritrovati nel 1831 alle Ebridi, sull’isola di Lewis da cui prendono il nome. Il numero preciso dei pezzi non è stato immediatamente rilevato in maniera accurata e le transazioni che li hanno portati da Lewis a Edimburgo non sono ben documentate.

Nelle successive trattative di vendita la collezione è stata più volte divisa, alcuni pezzi vennero venduti separatamente, altri semplicemente si dispersero in mani private. Ad oggi i pezzi conservati sono 78 e si possono ammirare al British Museum di Londra (io li ho visti qui) e al National Museum of Scotland a Edimburgo.

Molte leggende circolano sulle loro origini e sulla loro storia e questo ha contribuito a generare un alone di mistero. Ma una cosa è certa, le loro simpatiche facce con quegli occhi spiritati, i delicati intagli delle barbe e dei capelli e i meravigliosi decori di scudi e troni sanno conquistare tutti i cuori. Sono dei piccoli capolavori di arte romanica.

Tanto da guadagnarsi un cameo in Harry Potter e la Pietra filosofale nella scena in cui Harry e Ron imparano a giocare a scacchi, abilità che tornerà loro utile quando dovranno affrontare l’incantata scacchiera gigante a guardia della Pietra.

Curiosi personaggi personaggi questi Scacchi di Lewis.

Nelle prime descrizioni appaiono proprio così: “curiosi”. Ma Sir Frédéric Madden ne riconobbe immediatamente anche il valore in quanto opera d’arte: delle mini sculture con caratteri simili alle loro sorelle “maggiori” in legno e pietra. Sono stati intagliati tra il 1150 e il 1200. Dove? Non è chiaro.. Inghilterra o Scandinavia, più probabilmente la seconda.

Si chiamano Arti Minori ma sono solo capolavori in miniatura!

Per molti secoli le arti minori furono più importanti dell’architettura, della pittura monumentale e della scultura, definite arti maggiori. Più adatte ad essere trasportate in un mondo in continuo movimento (pensate alle culture prevalentemente nomadi dei paesi del Nord e Slave, ma anche agli stessi sovrani occidentali che avevano corti itineranti) erano loro a definire le tendenze artistiche.

Per tutto l’alto Medioevo occupano un ruolo di primo piano e sono di una qualità colta e raffinata che le rende la più profonda espressione artistica di quei secoli. E forse non è un caso che quei pochi nomi di artisti giunti fino a noi fossero orafi: Vuolvinio, Godefroy, Nicolas de Verdun, il maestro Hugo. E accanto a loro i nomi dei grandi committenti tra cui spicca l’abate Suger di Saint Denis. Piccoli oggetti capaci di suscitare grandi emozioni. Considerati preziosi non tanto per i materiali pregiati, quanto per la qualità della manifattura e per il loro valore spirituale e simbolico capace di condurre “per visibilia ad invisibilia”.

La tendenza si inverte verso la fine del XI secolo. Da qui in poi saranno le arti maggiori a dominare la scena artistica, ma nelle arti minori si possono comunque identificare alcuni elementi comuni.

Ad esempio la monumentalità, che l’arte romanica condivide con quella del X e XI sec, insieme alla pesantezza e alla rigidità. I nostri buffi piccoli amici, con i loro ben dieci centimetri di altezza, potrebbero essere stati realizzati tra il 1150 e il 1200. In loro le forme sono estremamente semplificate, le pieghe degli abiti sono quasi un ornamento, le figure sembrano masse pesanti compresse in poco spazio la cui pressione sembra voler esplodere dagli occhi. Hanno un’impostazione bidimensionale come se fossero dei rilievi che emergono da un fondo piatto e questo dona loro un aspetto primitivo.

Che si tratti di re o regine, di cavalieri o vescovi hanno tutti la stessa espressione stralunata con grandi occhi sporgenti, labbro superiore prominente e piegato all’ingiú. Molta più fantasia è stata utilizzata nel decorare i troni. Ognuno di essi presenta una propria particolarità dai motivi geometrici, animali avvolti in viticci, ornamenti arabeggianti. Tutti motivi ampiamente utilizzati in manoscritti, oreficerie, altri manufatti in avorio e architetture negli stessi anni.

I Re

I re sui loro troni reggono tutti una spada con entrambe le mani, poggiata sulle ginocchia. Potrebbe trattarsi di un simbolo di forza fisica ma anche dell’amministrazione della giustizia. Il mantello è rimboccato sul lato destro per permettere l’impugnatura della spada.

Le pieghe delle vesti presentano un marcato linearismo che ritroviamo anche nei manoscritti dello stesso periodo. Il re era come un padre per il popolo, questa figura paterna è sottolineata dalle folte barbe che presentano tutti tranne un paio. I capelli sono raccolti in trecce che ricadono sulla schiena secondo la moda del tempo. Solo uno sfoggia un caschetto da fare invidia a Raffaella Carrà.

Le Regine

Assise su troni decorati come i re anche loro ci permettono di farci un’idea delle mode del tempo. Sotto la corona indossano un velo che ricade sulle spalle. Quasi tutte hanno questa strana posa con la mano destra sul viso e la sinistra che sorregge il gomito opposto.

Due reggono un corno (la cui simbologia non è chiara) nella mano sinistra e una un lembo del vestito o un velo. Anche per le regine gli abiti presentano un forte linearismo, su alcune ancora più accentuato.

I Vescovi

Alcuni sono in piedi, altri seduti su troni. Tutti indossano la mitra e impugnano un pastorale, alcuni con due mani, altri con una, reggendo nell’altra una Bibbia o benedicendo.

I Cavalieri

Montano cavalli tozzi e irsuti che sembrano più che altro pony. Sono pronti per la battaglia, indossano elmi, scudi, spade, lance. Gli elmi sono di varia forgia: conico con para orecchie e naso come d’uso dal XI sec, oppure il Chapel de Fer un elmetto tondo simile ad una cuffia. Gli scudi sono finemente decorati.

Le Guardie e le pedine

Le guardie sono raffigurate come soldati di fanteria. Tre sono davvero particolari, mordono rabbiosamente lo scudo. La spiegazione di questa strana furia la si trova nelle saghe norvegesi. I guerrieri di Odino si lanciavano in combattimento mordendo i loro scudi e questa frenesia aveva il nome di Berserksgangr. Berserker potrebbe derivare da “bear shirt” o “bare shirt”, a entrambi si attribuiva il significato di selvaggio.

Le pedine sono tutte inanimate

Il ruolo degli scacchi

Da sempre sono considerati un gioco complesso di strategia e abilità. Le origini non sono chiare e vanno dalla Grecia all’Egitto, dall’India alla Persia. In arabo la parola scacchi è shatranj, derivazione del persiano chatrang e dal sanscrito chaturanga. Le prime scacchiere risalgono al VII e IX secolo. Dalle lontane terre arabe il gioco è giunto in Europa dove ha assunto proprie caratteristiche. Ad esempio la figura del Visir diventò la regina con la sua funzione di consigliere, quella che negli scacchi persiani era il carro di guerra diventò la torre, la figura del vescovo era inesistente e probabilmente era in sostituzione del principe.

Nella chiesa di San Savino a Piacenza c’è un curioso mosaico pavimentale che rappresenta una grande scacchiera. Solo uno dei due giocatori appare raffigurato. Dell’altro spunta solo un braccio che discende sulla scacchiera. Forse mancanza di spazio per la raffigurazione? O forse questo mosaico riprende la tematica della Ruota della Fortuna rappresentata centralmente e potrebbe indicare il gioco degli scacchi contro Morte e Fortuna?

Qui vi ho parlato di altre serie di scacchi affascinanti. Questa volta siamo a San Pietroburgo. In Russia questo gioco ha conosciuto una fama straordinaria in epoca sovietica, quando i comunisti decisero di diffondere questo hobby alle grandi masse e trasformarlo in una vera e propria arma politica. Ciò era dovuto al fatto che questo sport insegna a pensare in modo strategico, e per l’URSS era fondamentale dimostrare la propria superiorità intellettuale.

Basta.. fine del post nerd! Gli scacchi di Lewis vi aspettano, non dimenticatevi di loro.

Io invece vi aspetto su IG e FB.

All’incirca nello stesso periodo in cui da noi festeggiamo il carnevale, in Russia si festeggia la Maslenitsa. Lo scopo della festa è lo stesso: scacciare l’inverno, salutare la primavera e fare baldoria prima del periodo di Quaresima.

Si tratta di un’antica festa dalle radici pagane. Il cristianesimo si fece strada faticosamente tra gli Slavi a partire dalla seconda metà del IX secolo. Tra l’867, anno in cui spunta una enciclica del patriarca bizantino Fozio in cui si manifesta la speranza di convertire i rhos (= russi) e il battesimo del principe Vladimir nel 988, si alternano momenti in cui si fondano eparchie a momenti in cui si giura ancora su Perun e Volos, o ancora tra Sant’Elia e Perun. Tuttavia anche dopo la cristianizzazione ufficiale tradizioni, credenze e antiche feste pagane sopravvissero a lungo e molte sono giunte fino ai nostri giorni.

Fonte foto https://strange-fruit-collector.tumblr.com/post/73349673682/perun-wooden-statue

L’arrivo della primavera

L’usanza di festeggiare l’arrivo della primavera e il ritorno del sole e della vita era comune a molte civiltà. A Babilonia si tenevano per giorni celebrazioni dedicate al dio del sole Marduk. In Egitto veniva onorata la dea della fertilità, Iside; in Grecia, le dee Cora, Demetra e Atena; a Roma si tenevano celebrazioni in onore della dea Minerva.

Con l’adozione del cristianesimo in Europa, le festività pagane furono rivestite di nuovi contenuti, pur conservando molte caratteristiche antiche. Nella Russia pagana, la settimana di Maslenitsa divenne l’erede del più antico rito slavo Komoeditsa, associato al culto dell’orso che si risveglia in primavera.  Komoeditsa è stata parzialmente conservata in Bielorussia come parte delle celebrazioni di Maslenitsa. L’orso in Russia pur essendo rimasto uno dei personaggi importanti nelle festività ha ceduto il passo alla dea della morte e dell’inverno Marena e al dio del sole Yarilo. Le famose frittelle, i bliny, sono diventate il piatto principale della festa come simbolo del sole e della vita.

Fonte Wikipedia

Dopo l’adozione del cristianesimo, sorse un problema. La settimana di festa cadeva giusto nella Grande Quaresima e ovviamente la baldoria era contraria allo spirito del digiuno. Perciò Maslenitsa doveva essere spostata all’ultima settimana prima dell’inizio della Quaresima. Così una festa tradizionalmente legata al risveglio della primavera finì in un periodo di atroce freddo invernale. Dettagli cristiani a parte (come la recita di preghiere di pentimento, la preparazione al periodo della Quaresima e il rito del perdono o la riconciliazione con i vicini), gli attributi principali della festa popolare erano le abbuffate, i giochi, i travestimenti e i festeggiamenti.

Riti e Tradizioni

Come vi accennavo è una festa in cui si vuole dare il benvenuto alla primavera e al sole, ma ahimè c’è ancora tanta neve! Si gioca con gli scivoli di neve facendo in modo che siano più alti possibile per propiziare la crescita del lino; si creano fortezze di neve e ghiaccio e divisi in squadre si ingaggia battaglia per la conquista, i vincitori hanno il diritto di baciare tutte le ragazze della festa; i futuri sposi vengono ricoperti di neve come segno di benessere futuro.

Maslenitsa viene anche chiamata Сырная седмица – La Settimana del Formaggio. Secondo la tradizione in questi giorni non è più possibile mangiare carne, ma si possono ancora mangiare latticini e pesce. C’è una ragione molto pratica in questo. Burro, latte, ricotta, frittelle, panna acida erano sulle tavole degli Slavi molto prima del Battesimo della Rus! Alla fine di marzo, per la prima volta dopo l’inverno, le mucche partorivano e nelle case appariva il latte. Poiché la macellazione del bestiame in inverno non avveniva e le vecchie scorte di carne si stavano esaurendo, i latticini e i prodotti a base di farina erano la principale fonte di alimentazione. Da qui il nome: Maslenitsa (масло=burro).

Le frittelle del sole

I famosi Bliny (блины), una frittella rotonda simile alle crepes francesi e tipici delle festività per il carnevale, simboleggiano il sole e quindi la rinascita della natura a primavera. Possono essere serviti con un ripieno salato con burro, smetana, caviale rosso o nero, formaggio, patate, funghi, oppure dolce come marmellata, latte condensato, frutta.

Credits timolina – Freepik

Ogni giorno della settimana aveva un preciso rituale

Lunedì. Incontro, встреча (vstrècha). E’ l’incontro con la festa. Si preparano i bliny, i bambini giocano con gli slittini, si scaldano intorno al fuoco e si prepara il fantoccio di Maslenista (lo spaventapasseri dagli abiti femminili).

Martedì. Giochi, заигрыш (zaìgrysh). Battaglie, riti propiziatori per i giovani sposi, scivoli, incontri.

Mercoledì. Ghiottone, лакомка (lakomka). Va beh… lo avrete capito che in questa festa si mangiano i bliny allo sfinimento! Ma in questo caso sono quelli della suocera, che invita il genero cena per rimpinzarlo.

Giovedì. Baldoria, разгул (razgul). E’ la giornata dei travestimenti e fino all’inizio del XX sec c’era l’usanza di portare per il paese un albero addobbato con nastri, campanelle e drappi. Oppure poteva essere un giovane ragazzo il protagonista che teneva in braccio vino e leccornie. La sua slitta era seguita da altre e ovunque c’erano canti e balli.

Venerdì. Serata della suocera, тещины вечерки, (tesciny vechera). Il genero dovrà pur contraccambiare l’invito della suocera no?! Così la invita a cena.. e si mangiano i bliny.

Sabato. La veglia delle cognate, золовкины посиделки (zolovkiny posidelki). Sempre serate in famiglia.

Domenica. Addii, прощеное воскресенье (Proscenoe voskresen’e). Ci si prepara alla Quaresima, viene celebrato uno speciale rito di perdono durante il quale il clero e i parrocchiani si chiedono reciprocamente perdono. Il carnevale si chiude con canti e balli, ancora bliny, la banja per purificarsi e il falò dello spaventapasseri per salutare l’inverno.

Fonte immagine http://www.ioarte.org/artisti/Sissi/opere/petruska/

Bruciare per rinascere

Uno dei momenti più significativi è il falò della Maslenitsa come simbolo della fine dell’inverno. E’ un rituale pagano antico che indicava la “sepoltura” dell’inverno e, di conseguenza, tutte le difficoltà ad esso associate. Lo spaventapasseri in abiti femminili rappresenta la Maslenitsa ed era effige della dea invernale Marena. Prima di essere bruciato lo spaventapasseri viene condotto per le strade del villaggio in modo che tutti i residenti possano vederlo in una sorta di corteo funebre, festoso però, visto che il funerale è quello dell’Inverno.

L’usanza del falò propiziatorio si ritrova anche nel Carnevale di Ivrea. L’abbruciamento degli Scarli è parte del rituale del Funerale del Carnevale che si conclude il Martedì Grasso. Gli alti pali degli Scarli vengono bruciati nelle piazze come segno di buon auspicio per l’anno appena iniziato. Bruciando l’albero si brucia il passato, che alle soglie della primavera deve lasciare il passo alla nuova vita. Più velocemente brucia lo Scarlo e meglio è! Il Funerale del Carnevale prosegue con una silenziosa marcia per tutto il paese, scandita solo dal rumore delle sciabole degli Ufficiali trascinate sul selciato e dalla musica dei pifferi.

Bella, efficiente, pulita e anche economica, ma tremendamente caotica. La Metropolitana di Mosca può a ragione considerarsi una delle migliori al mondo. I primi progetti risalgono al 1875 e nei decenni successivi ne fallirono diversi altri: nel 1902 in gran parte a causa della lobby del Trasporto Tramviario, nel 1913 un progetto cittadino, nel 1923 (nel periodo della NEP) un progetto tedesco. Solo nel 1931 iniziarono i lavori di costruzione e la prima linea vide la luce nel 1935. Ad oggi è tra le più trafficate al mondo con circa 9 milioni di passeggeri trasportati al giorno.

Le linee sono ormai 14 per più di 400 km, cioè.. avete presente quanti siano 400 km?? Se volessimo farcene un’idea, a percorrerli tutti sarebbe come andare da Torino fin quasi a Trento! Ma fondamentalmente l’espansione della metropolitana, così come quella di Mosca, continua. Entro il 2024 sono previsti ulteriori 58 km di linee.

Ogni stazione ha un tema e i dettagli sono sempre curati: lampadari eleganti, mosaici con scene sovietiche, soffitti decorati come se fossero dei palazzi nobiliari, pannelli scolpiti con temi mitologici, ringhiere dei corridoi di passaggio tra una linea e l’altra finemente decorate, statue e bassorilievi di personaggi storici, in quelle più moderne marmi lucidissimi dei pavimenti e delle colonne. Non vi sarà difficile capire perché veniva chiamata il Palazzo del Popolo: nell’ideologia del regime doveva essere efficiente ma anche permettere al popolo sovietico di spostarsi in un sontuoso ambiente sotterraneo.

La metro di Mosca è un intricato labirinto di centinaia di kilometri, percorso da milioni di persone e in cui bisogna decifrare indicazioni scritte in cirillico, quindi muoversi laggiù non è semplice. Dovete essere preparati!

Per prima cosa vi consiglio di scaricare YANDEX METRO (soprattutto se non parlate russo). E’ un’applicazione gratuita e molto utile, dato che non è necessario avere una connessione Internet per vedere la mappa e calcolare i tragitti. È disponibile per Android e iPhone, oltre che in versione web in inglese.

L’ingresso alla stanzija metrò

Le stazioni sono indicate con una elegante e grande M rossa quindi sono facilmente individuabili.

Una volta raggiunta la stazione metro, vi si accede attraverso pesanti porte di accesso. Abbiate l’accortezza di tenerle a chi vi segue, per evitare che arrivino loro in faccia. E’ consuetudine farlo e tutti (o quasi) lo fanno. Dirigetevi verso quelle che vedete contrassegnate con queste lettere (e che in genere hanno adesivi verdi):

ВХОД = ENTRATA

Quelle dell’uscita sono contrassegnate da un adesivo rosso e riportano la dicitura:

НЕТ ВХОДА o ВЫХОД = USCITA

Dopo l’atrio con le casse troverete altre scale mobili che scendono più in profondità. Le scale mobili sono spesso lunghissime. La stazione più profonda Park Pobedy si trova a 84 mt di profondità e la scala mobile è lunga 126 mt. Al fondo di ogni scala mobile noterete un controllore (generalmente un fiera russkaja signora) all’interno di un gabbiotto che sorveglia la scala.

La segnaletica

La metro di Mosca è dotata di diversi tipi di segnaletica che si completano a vicenda. Sul pavimento la direzione da prendere per cambiare linea è indicata con una freccia e degli adesivi rotondi con il colore e il numero della linea. Appena arrivati sulla banchina troverete dei cartelli in alto e poi anche sulle colonne, con indicate le direzioni in cui viaggiano i treni e le fermate che fanno. L’importante è capire in che direzione vi state muovendo.

Tutte le informazioni dei cartelli sono indicate anche in inglese (almeno nelle stazioni più turistiche): i nomi delle stazioni negli androni, sui binari e nei vagoni ferroviari sono tutti in anche in caratteri latini. All’interno dei vagoni, le fermate vengono annunciate in due lingue: russo e inglese.

Le uscite sono indicate con dei numeri e in generale si trovano dei cartelloni con indicati i principali luoghi di interesse che troverete in superficie

Viaggiare con la metro a Mosca è economico

I biglietti possono essere acquistati appena entrati nella stazione. Ci sono sia le biglietterie automatiche che le casse con operatore, in genere però ci troverete delle signore che difficilmente parlano inglese. Ma indicando con le dita quanti biglietti volete riuscirete a capirvi. Le casse automatiche sono sia in russo che in inglese e non è difficile usarle.

Le tipologie di biglietto sono diverse:

CORSA SINGOLA. E’ un biglietto in cartoncino rosso con la scritta Единый. Ti permette di viaggiare in metro, monorotaia, autobus, filobus o tram. Il biglietto è valido in tutta Mosca, inclusa la Zona B. La validità è di 5 giorni, compreso il giorno di vendita. Il biglietto può essere acquistato per 1 o 2 viaggi.

1 поездка (paièsdka) un viaggio 81 rubli

2 поездки (paièsdki) due viaggi 162 rubli

CARTA TROIKA. Questa è una carta elettronica plastificata su cui è possibile caricare abbonamenti o più viaggi, validi per tutto il trasporto urbano della città: metro, monorotaia, autobus, filobus o tram. Ha lo scopo di unificare in un unico titolo i diversi sistemi di trasporto ed evitare l’eccessivo uso dei biglietti cartacei usa e getta. Viene chiesta una cauzione di 50 rubli, che viene restituita quando si riconsegna la carta alla cassa. Su di essa si possono caricare diverse tipologie di biglietti. Vediamoli!

Tariffa «Кошелек» Portamonete: E’ la soluzione più comoda per i turisti. Decidi l’importo da caricare e la carta in automatico scalerà il costo del singolo biglietto in base all’utilizzo della carta. Ad esempio se decidi di caricare la carta con 400 rubli avrai 10 viaggi.

Numero fisso di viaggi: Puoi caricare 1 o 2 viaggi per volta oppure un carnet da 60 viaggi.

Viaggi Illimitati per giorno: Puoi caricare un biglietto che ti garantisce viaggi illimitati per uno o più giorni. I giorni iniziano dal momento del primo utilizzo.

5 Semplici regole per sopravvivere nella metro di Mosca

La metropolitana è utilizzata da circa 9 milioni di persone al giorno (secondo i dati del sito). Va da sé che sia un luogo estremamente affollato ed è necessario seguire alcune semplici regole, non scritte ma di buon senso, per evitare spiacevoli situazioni:

Regola n.1 Il passaggio dei treni varia dai 45 ai 90 secondi (personalmente mai visto in altre città questa frequenza). Perciò non serve affollarsi o correre per salire sul vagone. Se si perde un treno basta aspettare quello successivo!

Regola n.2 Non provare a fare il portoghese! Entrare in metro senza biglietto è semplicemente impossibile.. lasciate stare! Ci sono tornelli ovunque e soprattutto sono sorvegliati. Se ci provate preparatevi ad affrontare la polizia e gli uomini della sicurezza pronti ad accogliervi dall’altra parte dell’ingresso! E per il costo del biglietto non vale la pena.

Regola n.3 I moscoviti hanno sempre fretta! Sulle scale mobili della metro bisogna sostare sul lato destro, e passare sul lato sinistro. In realtà sarebbe buona abitudine ovunque, solo che i moscoviti si spazientiscono, anche perché qui le scale mobili sono davvero lunghe. A Mosca lo insegnano anche ai bambini.

Regola n.4 Fate attenzione che zaini e valigie ingombranti non diano fastidio ad altri passeggeri e a non fare movimenti bruschi o occupare più posti a sedere. Anche qui potreste attirarvi maledizioni!

Regola n.5 Non fermatevi proprio in mezzo al passaggio, bloccando il traffico nel tentativo di capire da che parte andare! Spostatevi da un lato. E questo anche se vi state godendo le meraviglie sotterranee delle stazioni. Evitate di fermarvi in mezzo a fare foto o di intralciare il passaggio camminando con un’andatura eccessivamente lenta.

Alcune delle più belle…

Le stazioni considerate patrimonio culturale sono decine (45), quindi fare un elenco di quelle assolutamente da vedere può risultare difficile. La metropolitana è stata concepita per mostrare al mondo con orgoglio la magnificenza del Soviet. Da tutta la Russia si fecero arrivare materiali pregiati e i migliori artisti del realismo socialista. Qui di seguito ne troverete alcune selezionate tra quelle tradizionalmente considerate le più belle da vedere.

Le fermate più famose si trovano sulla linea circolare marrone. Secondo la leggenda questa linea fu costruita così per un capriccio di Stalin che, durante una seduta di pianificazione dei lavori, aveva appoggiato una tazzina di caffè sulla piantina del progetto e chiese che fosse costruita una linea circolare come la macchia lasciata dalla tazzina. Ma stazioni da non perdere se ne trovano anche sulla linea vede e su quella blu.

Arbatskaja

E’ una stazione luminosa ed elegante con delicati stucchi e lampadari di bronzo. I pilastri sono bassi e rivestiti di marmo rosso.

Majakovskaja

Un capolavoro in stile Art Deco progettato dall’architetto Aleksej Dushkin. La stazione è decorata con colonne alte e sottili realizzate in acciaio che danno l’idea di una sala grande e spaziosa. Sul soffitto si possono infatti contare 34 meravigliosi mosaici di Aleksandr Dejneka dal tema “Cielo sovietico 24 ore”. Nel 1939 questa stazione ha vinto il Gran Prix all’Esposizione universale di New York.

Belorusskaja

Stazione dedicata alla Bielorussia. Nei pannelli e negli stucchi sono raffigurati abiti tradizionali e motivi tratti dalla cultura bielorussa.

Novoslobodskaja

Vetrate illuminate come nelle cattedrali gotiche. Non sono tipiche della cultura russa per questo motivo furono opera di artisti lettoni.

Park Pobedy

E’ la stazione più profonda della metro di Mosca. L’interno di questa stazione è un omaggio alle grandi vittorie del popolo russo, tra cui la guerra del 1812 contro Napoleone e la Seconda guerra mondiale. Progettata dal celebre artista russo-sovietico Zurab Tsereteli, ha due sale (a nord e a sud) che rappresentano le due vittorie e giocano con colori opposti che creano un effetto suggestivo.

Ploshad Revolutsij

Le statue di bronzo della fermata Ploshad Revolutsii (metro di Mosca) rappresentano il Popolo sovietico: operai, studenti, agricoltori, soldati, scrittori. Tra le tante statue di Ploshad Revolutsii – sono 36! – cercate quella di un soldato con il cane. Strofinare il muso dell’animale si dice che sia di buon augurio. Lo strofinio continuo lo ha reso più lucido e consumato!

Kievskaja

Costruita sotto la supervisione personale di Nikita Khrushchev che con questo arredamento elegante e i tanti mosaici, ha voluto rendere omaggio alla sua patria, l’Ucraina. L’ingresso della stazione è decorato con marmo e granito e le colonne sono abbellite con 18 pannelli a mosaico. I bassorilievi, poi, raccontano la storia delle relazioni tra Russia e Ucraina, dall’antichità fino alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917.

Prospekt Mira

Bassorilievi con scene dell’agricoltura sovietica.

Leggere assomiglia molto a viaggiare. Nella letteratura si incontrano storie, tipi umani, paesaggi, si conoscono le bellezze di un luogo ma anche, i suoi problemi sociali, le contraddizioni, le storture. Questo è valido anche (e soprattutto) per la Russia. Nei grandi classici vive l’affascinante spirito russo, nei reportage come quelli della Aleksievich affiora la storia contemporanea aprendo una finestra sui sentimenti di chi quella storia l’ha vissuta dall’interno.

Leggere libri di storia, racconti di viaggio, saggi di arte è fondamentale per capire un Paese così grande e diverso come la Russia. Troppo grande con i suoi undici fusi orari, difficilmente riconducibile alle sole Mosca e San Pietroburgo. Scrivendo questa lista di libri mi sono resa conto ancora una volta delle sue immense “risorse” e di quanto ancora mi sfugga, di quanto ho dimenticato e ritrovato con l’occasione di scrivere queste poche righe. “Non si può capire la Russia con la mente | nella Russia si può solo credere.” scriveva Fëdor Ivanovič Tjutčev.

I libri da leggere sono tanti, non solo per vivere un viaggio con maggior coinvolgimento ma anche per capirci qualcosa in più della Russia. Ho fatto un piccolo elenco. Non prendetela come una raccolta esaustiva, sono solo un personale suggerimento selezionato tra le mie letture. Ci troverete molta letteratura classica perchè per me è imprescindibile.

Seguitemi.

Mikhail Bulgakov. Il Maestro e Margherita.

Una pietra miliare della letteratura russa e non solo, uno dei miei libri preferiti in assoluto. Di una profondità totale per i temi trattati in cui si mescolano satira, amore, denuncia, ironia. Mosca assume un sapore tutto particolare dopo averlo letto, andrete alla ricerca di tutti i luoghi iconici del romanzo, garantito!

Un vero e proprio show di una strana combriccola composta nientemeno che dal Diavolo in persona e i suoi demoni più fidati. Sconvolgeranno la vita di una grigissima Mosca staliniana, immobile, corrotta- inteso anche come corruzione dell’anima- e burocratizzata. Bellissima la scena iniziale del libro con la conversazione tra lo straniero Woland/Diavolo, il presidente del MASSOLIT Berlioz e il poeta Ivan Bezdomnyj. Leggetene un pezzetto:

“Se non ho sentito male, lei stava dicendo che Gesù non è mai esistito?” chiese cortesemente lo straniero. “No, non ha sentito male” disse Berlioz. “Ah, com’è interessante!, e, scusate se sono importuno, voi oltretutto non credete neppure in Dio? – fece gli occhi impauriti e aggiunse – giuro che non lo dirò a nessuno”. “Sì, noi non crediamo in Dio, siamo atei – rispose Berlioz sorridendo della paura del turista straniero – ma se ne può parlare con assoluta libertà”. A questo punto il forestiero si alzò e strinse la mano all’allibito direttore dicendo: “Permetta che la ringrazi di tutto cuore dell’informazione che per me, viaggiatore, è eccezionalmente interessante! – e lo straniero volse lo sguardo impaurito alle case attorno, quasi temesse di vedere un ateo ad ogni finestra – ma ecco il problema che mi turba: se Dio non esiste, allora, mi domando, cosa dirige la vita umana e in generale tutto l’ordine della terra?” “L’uomo stesso li dirige” si affrettò a rispondere Bezdomnyj irritato. “Chiedo scusa – replicò dolcemente lo sconosciuto – ma per dirigere bisogna per questo avere un piano preciso per un periodo di tempo almeno rispettabile. E come può dirigere l’uomo, se non soltanto gli manca la possibilità di fare un piano anche per un periodo di, poniamo mille anni, ma non può disporre neppure del proprio domani? Immagini che lei, ad esempio, cominci a dirigere, a disporre di sé e degli altri, insomma a prenderci gusto, quando improvvisamente le capita… eh… eh… un sarcoma al polmone – e lo straniero socchiuse gli occhi come un gatto – ed ecco che tutto il suo dirigere è finito! Nessun destino, a parte il suo, le interessa più. I parenti cominciano a mentirle mentre lei si precipita prima dagli specialisti, poi dai ciarlatani, se non addirittura dalle chiromanti. E alla fine, colui che s’immaginava di dirigere qualcosa si trova a giacere in una cassa di legno, e gli altri lo cremano in un forno. E capita anche di peggio! Uno ha appena deciso di andare in villeggiatura, un progetto da nulla, sembrerebbe, ma non può attuare nemmeno quello perché tutt’un tratto scivola e finisce sotto un tram!” disse lo sconosciuto strizzando l’occhio a Berlioz, che effettivamente aveva deciso di andare in villeggiatura.

Esiste anche una serie tv di produzione russa (sottotitolata in italiano), molto fedele al libro.

Svetlana Aleksievich. La guerra non ha un volto di donna.

Un libro toccante, fatto dalle voci di donne che raccontano la Seconda Guerra mondiale. L’autrice ne intervista decine per quasi due anni, raccogliendone le preziose testimonianze. La guerra vissuta e spiegata con una emotività tutta femminile. Le protagoniste sono poco più che ragazzine quando si arruolano per difendere la patria e gli ideali della loro giovinezza. Una guerra un po’ meno eroica forse (in realtà altrettanto eroica), ma vera, terribile e che rende l’idea di che cosa abbia significato questo conflitto per la Russia.

“La guerra per le donne è un’altra cosa rispetto ai maschi. Mi hanno colpito le parole di una ex soldatessa sovietica che dopo una battaglia è andata a vedere il campo dove giacevano i morti e i feriti. Diceva: c’erano ragazzi, bei giovani, russi e tedeschi, mi dispiaceva ugualmente per tutti quanti. La morte e il dolore non conoscono differenze tra gli esseri umani. Ma lo sanno solo le donne.”

Jan Brokken. Bagliori a San Pietroburgo.

Jan Brokken racconta San Pietroburgo attraverso le storie e le sofferenze di grandi personaggi che hanno reso questa città elegante e un pò malinconica un polo culturale importantissimo. Una galleria di scrittori, musicisti, artisti, intellettuali da Anna Akhmatova a Dostoevskij, passando dalla musica di Shostakovich Rachmaninov e Rimskij-Korsakov, e poi dall’arte di Malevich. Indaga il loro rapporto con la città e la Patria da profondo conoscitore della realtà russa. Un libro che deve essere assaporato lentamente ed approfondito attraverso ricerche ed ascolti (fatelo perché vi aprirà una finestra sulla Russia).

“Tutto è letteratura in questa città, tutto è musica. Anzi, sono la letteratura, la musica, l’arte figurativa, il balletto, il teatro a sprigionare il bagliore che emana questa città.”

Lev Tolstoj. Guerra e Pace.

Da che parte cominciare non saprei. Comincio col dirvi di non lasciarvi spaventare dalla lunghezza perché rischiereste di perdere troppo. Le vicende si svolgono sullo sfondo storico delle guerre napoleoniche, ampi spazi vi sono dedicati e vi assicuro che non li dimenticherete mai più. Meglio di un libro di storia! I personaggi diventano parte della tua vita o meglio tu diventi parte della loro. Ti senti come risucchiato da un mondo intero: guerra, amore, storia, psicologia, spiritualità, amicizia profonda, storie umane, drammi esistenziali. Il tutto descritto attraverso le vite di alcune famiglie aristocratiche: i Bolkonskij, i Rostov, i Kuragin e Pierre Bezuchov. Eccovi uno dei passaggi più famosi del libro. Il principe Andrej, ferito gravemente durante la battaglia di Austerlitz si interroga sull’inutile affannarsi dell’uomo e su Dio:

«Che cos’è? Sto cadendo? Mi cedono le gambe», pensò e cadde sul dorso. Aprì gli occhi, sperando di vedere com’era finita la lotta dei francesi con gli artiglieri e desideroso di sapere se l’artigliere rosso era stato ucciso oppure no, se i cannoni erano stati presi ho salvati. Ma non vedeva nulla. Sopra di lui non c’era più nient’altro che il cielo- un cielo alto, non limpido, e tuttavia incommensurabilmente alto, con nuvole grigie che vi scorrevano piano. «Com’è tutto silenzioso, quieto e solenne, non come quando correvo, – pensò il principe Andrej, – non come quando correvamo, gridavamo e ci battevamo; non come quando il francese e l’artigliere si contendevano lo scovolo, con le facce furiose e spaventate: le nuvole scorrono in modo completamente diverso in questo cielo alto e infinito.  Ma come ho fatto a non vederlo prima, questo cielo alto, e come sono felice di averlo finalmente conosciuto. Sì! Tutto è vano, tutto inganno, tranne questo cielo infinito. Non c’è niente, niente all’infuori di questo. Ma non c’è neppure questo, non c’è nient’altro che silenzio, pace ritrovata. E grazie a Dio!… »

Colin Thubron. In Siberia.

Un libro che racconta attraverso storie e incontri la Siberia dei primi anni Novanta. Colin Thubron è uno scrittore inglese che ha esplorato la Russia più volte. In questo libro descrive una Siberia che da poco aveva aperto le porte ai viaggiatori stranieri, una terra meravigliosa che però soffre profondamente il disfacimento post sovietico. Una terra troppo lontana e ignorata da Mosca e da tutta la Russia europea.

Il suo viaggio comincia a Ekaterinburg e arriva fino alle propaggini estreme del paese verso il pacifico e verso l’Artico, incontrando tutta la varietà etnica e di tipi umani che vivono sotto l’immenso cielo della Russia. Non mancano pagine angoscianti e ironiche che si alternano alla descrizione della selvaggia bellezza di questa terra, che a volte però resta un po’ troppo sullo sfondo.

“Verso sera il vento cala, ed entriamo in un vuoto dorato. E’ questa la Siberia originaria, penso: la Siberia sfuggente, infinita, che perdurava come un inconscio geografico negli occhi dei primi viaggiatori. Il suo vuoto apparente era una lavagna pulita su cui scrivere. Per secoli sollevò dicerie e leggende, evocò ideali, suscitò paure. Persino il suo nome – una fusione mistica tra il mongolo siber, “bello, puro” e il tartaro sibir, “terra addormentata” – suggeriva l’immagine di un altrove vergine e in attesa. Hegel la collocò addirittura fuori dai confini della storia: troppo fredda e ostile per ospitare una vita significativa.”

Feodor Dostoevkij. Le notti bianche.

La profondità psicologica dei personaggi della grande letteratura russa è strabiliante. E’ fondamentale la lettura dei classici per affacciarsi sull’anima russa. Le notti bianche è un libro altamente psicologico che in poche pagine sonda il tema dell’alienazione con una attualità incredibile. Le vicende si svolgono a San Pietroburgo nelle lunghe notti d’estate quando il sole continua ad emanare i suoi bagliori anche di notte. Leggetelo e poi anche Piter avrà un sapore diverso.

“Era una notte incantevole, una di quelle notti come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore”.

Svetlana Alesksievich. Tempo di seconda mano.

Tempo di seconda mano è un collage di storie, di sentimenti. Quelli della gente di Russia che descrive il crollo dell’Unione Sovietica e del comunismo con sentimenti contrastanti, per alcuni un dramma per altri una liberazione. La Aleksievich lascia parlare i suoi intervistati, non interviene, se non nelle note didascaliche e con qualche commento qua e là. Li incontra ovunque nelle case, nelle piazze, sui treni è tutta gente comune che sembra essere avida di raccontarsi, di dire la sua.

I discorsi sulla libertà sussurrati nelle cucine: che cosa è veramente la libertà? E’ necessaria all’uomo russo?

Emergono storie incredibili sepolte in fondo all’anima, vite passate tra un androne e una stazione, tra una kommunalka e l’altra, gli uomini resi inutili dalla piaga dell’alcool. Alcuni maledicono gli anni ’90, volevano solo un pò di libertà in più, non quello che è successo al Paese in quegli anni. Il salame emerge come una specie di araldo del benessere (desiderio di un benessere semplice) e ritorna nelle voci di molti.

Un aspetto toccante è il senso di appartenenza che c’era nell’URSS, anelato e rimpianto da molti. La consapevolezza di essere tutti fratelli e sorelle, un unico enorme popolo. Tutti diversi eppure tutti uniti in una convivenza pacifica. Una profuga armena di nome Margarita racconta la festa del Navruz Bajram a Baku. “Nel giorno più importante della festa si formava una tavola lunghissima nel cortile e su di essa c’erano i ravioli di carne georgiani i chinkali, i boraki cannelloni di carne armena, i bliny russi, torte alla tatara, carni farcite di castagne alla maniera azera…”. Da un momento all’altro crollata l’Unione, l’odio si è inspiegabilmente impossessato delle persone che hanno iniziato a uccidersi senza pietà.

E poi ci sono le storie truci e amare di chi racconta dei gulag o della guerra in Cecenia, perchè le ha vissute personalmente o ha visto tornare persone care da quell’inferno. Storie di vittime e carnefici talmente intrise di morte da restare ipnotizzati, da sembrare di conoscerla da sempre: “Non doveva necessariamente essere una vecchia sdentata con la falce, ma poteva anche avere il sembiante di una bella ragazza, perchè no?” dice Aleksandr, un ex soldato.

La dissoluzione dell’URSS è stata la dissoluzione di vite intere.

Ci avevano lasciato respirare un pò d’aria fresca, e adesso richiudevano la porta… Ci avrebbero fatto rientrare nella nostra gabbia, ricacciati nuovamente nell’asfalto… come farfalle imprigionate nel cemento”

Vladimir Medinskij. Miti e contromiti. L’Urss nella Seconda Guerra Mondiale.

Sono stata indecisa a lungo se inserire questo titolo in questa raccolta. A partire dagli anni della Guerra Fredda il ruolo dell’URSS nella vittoria sul nazismo è stato progressivamente ridimensionato e sminuito e l’immagine dell’Unione Sovietica è stata sempre più avvicinata alla Germania nazista. Con il crollo del socialismo negli anni ’90 questa tendenza si è fatta strada prepotentemente anche nei Paesi dell’ex blocco sovietico, in particolare l’Ucraina e i Baltici, ma anche presso alcune correnti nella stessa Russia.

Fino ad arrivare ad una risoluzione recentissima nel settembre 2019 del Parlamento dell’Unione Europea che propone di retrodatare la data di inizio della guerra all’accordo Molotov-Von Ribbentrop, rendendo Mosca corresponsabile. Questo libro di Medinskij ha lo scopo di smontare questa narrativa ripercorrendo gli eventi del conflitto. E’ vero che a tratti lo stile mi è sembrato un pò propagandistico, ma le fonti citate sono moltissime e si ha occasione di verificare e approfondire. Ognuno poi tragga le proprie conclusioni, ma sono convinta che sia difficilmente negabile il contributo positivo dell’URSS nella Seconda Guerra Mondiale, anche al netto delle sue pagine oscure, peraltro non assenti in altri Paesi.

Mi sono occupato a lungo di storia, ma non credevo che avrei mai scritto un libro come questo. La Grande guerra patriottica mi sembrava un argomento ostico, e volevo inoltre evitare di affrontare questioni del recente passato. Nel 2009, tuttavia, mentre ricorreva il settantennale dell’inizio della Seconda guerra mondiale, l’Unione europea fu attraversata da un moto di isteria; Stalin venne paragonato a Hitler, l’Unione Sovietica venne equiparata al Terzo Reich e le si attribuì la corresponsabilità dello scoppio della guerra. Dai blog di internet, fino alle dichiarazioni ufficiali dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, fu riesumato tutto l’armamentario di falsi miti e squallide calunnie sull’Urss. Mi convinsi allora che era utile, necessario, un testo sull’argomento e iniziai a raccogliere materiale per questo libro.

Egon Sendler. L’Icona, immagine dell’invisibile.

Non voglio spacciarlo per un libro semplice, ma interessante si. E inoltre l’icona è una forma d’arte importante in Russia (nonchè estremamente suggestiva) e la ritroverete nelle iconostasi in qualsiasi chiesa, oltre che in numerosi musei tra cui ad esempio la Galleria Tret’jakov.

Questo è un libro d’arte ma scritto in un linguaggio comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Ne consiglio la lettura per apprezzare in modo più profondo questi capolavori. L’icona è una forma di arte religiosa che nasce con il cristianesimo stesso, il libro inizia col tracciare i riferimenti storici della sua nascita e gli elementi filosofici e teologici che ne stanno alla base, per poi spiegarne gli elementi estetici e le tecniche di realizzazione. Un saggio imperdibile per affacciarsi su questa forma d’arte così tipica dell’Oriente cristiano.

La prima volta che ho provato la banja ero in una dacia di amici un po’ fuori Minsk. Ma prima di cominciare facciamo chiarezza su cosa sono la banja e la dacia.

La banja è la tipica sauna russa. Nel mondo esistono vari tipi di bagni di vapore che si distinguono per temperature e grado di umidità. La sauna finlandese ad esempio è una sauna secca con temperature molto alte. Il bagno turco invece ha temperature più basse ma un’umidità molto alta. La banja è simile alla sauna finlandese ma ha temperature leggermente più basse.

Veniamo alla dacia. E’ la casa di campagna dove generalmente trascorrono il week end o le vacanze estive le famiglie della città. Le prime dacie apparvero al tempo di Pietro il Grande e conobbero grande diffusione in Russia fino ad un vero e proprio boom negli anni ’80. Ancora oggi sono un luogo dove i cittadini si recano per trovare un pò di pace dai ritmi frenetici della città, coltivano i loro orticelli e giardini e si riuniscono con gli amici per fare festa. Sono tipiche casette di campagna, generalmente molto spartane (anche se i ricconi si costruiscono delle vere e proprie ville) immerse in una romanticissima campagna ma… priva di illuminazione e infestata dalle zanzare!

Tornando alla mia prima banja.. Nashi belarusskie drusià ci avevano invitato per uno scambio musicale in Bielorussia e ci hanno portato un paio di giorni in campagna come da tradizione. La casa era circondata da stradine in terra battuta, giardini, orti e qualche altra dacia sparsa qua e là.. C’era una piccola capanna di legno, con la stufa e le panche in una stanza, e un altro ambiente per spogliarsi. Fuori da questa costruzione una tinozza con l’acqua fredda. Ricordo perfettamente il tuffo con la pelle umida appena uscita dalla stanza di vapore! E’ una sensazione molto piacevole e la pelle è liscia come la seta.

Una tradizione molto antica

Così come gli abitanti dei paesi scandinavi, anche gli Slavi conoscevano da sempre la sauna. I Kievani, convinti che l’apostolo Andrea avesse predicato nelle terre degli Slavi orientali, raccontano nelle loro Cronache delle “strane torture” che avrebbe visto.

“..Si lavano e si frustano.. Ho veduto i bagni di legno, e come li riscaldano fino al color rosso, e si spogliano, e sono nudi.. e sollevano su di sè una verga giovane, e si fustigano da soli.. e si spruzzano d’acqua gelida”

Racconto dei tempi passati

Anche viaggiatori arabi in terra slava raccontano della banja, di cui però si stupivano meno rispetto all’apostolo Andrea, conoscendo già l’hammam. Al-Mas’udi racconta di casupole di legno con le fessure otturate da muschio e la stufa rovente in un angolo su cui veniva versata acqua calda. Ma anche loro non sapevano spiegarsi l’uso dello scopino di erbe con cui i bagnanti si sferzavano. Si trattava del venik una scopetta fatta di rami di betulla o a volte tiglio o quercia, con cui ci si frusta per riattivare la circolazione.

Tutti praticavano il bagno di vapore dai principi ai contadini. Era un’abitudine diffusa in città grandi e piccole. Per gli antichi Slavi la sauna era considerata un luogo sacro che riuniva i 4 elementi della natura: aria, acqua, fuoco e terra. Si riteneva che questi infondessero vigore e salute. Ma al di là della sensazione di benessere e della pulizia era considerata una pratica estremamente salutare.

Banja “nera” e banja “bianca” qual’è la differenza?

Esistono due tipologie di banja a seconda del tipo di fuoriuscita del vapore. Nella banja nera, che viene considerata la tradizionale russa, non ci sono tubi per la fuoriuscita del fumo. Il fumo prodotto dalla legna esce da piccole fessure praticate nel soffitto e nelle pareti che per questo motivo sono anneriti dalla fuliggine. Devono essere puliti prima di ogni utilizzo e prima di iniziare la seduta è necessario far cambiare aria aprendo porte e finestre. Questo tipo di banja col tempo si trasformò nella sua versione “bianca” (e oggi più diffusa) con l’aggiunta di un tubo per la fuoriuscita del fumo.

Istruzioni per l’uso

Il rituale da seguire è ben preciso, ed è un circuito che si ripete più volte. Ci si spoglia nella zona comune, la tradizione vuole che la sauna si faccia nudi (al massimo è possibile indossare un asciugamano), per questo motivo i bagni pubblici hanno zone separate uomo/donna, a volte sono dotati anche di stanze private dove è possibile entrare insieme. Prima di entrare nella sauna è necessario fare una doccia evitando di usare saponi o bagnare i capelli. Si può utilizzare un cappello (shapka) di feltro che protegge la testa dalle alte temperature.

Il bagno di vapore dura circa 5/10 minuti, meglio non esagerare con la durata. La stanza è piccola ed ha la stufa con le pietre roventi in un angolo e le panche di legno su tre piani. Si comincia sempre dal livello più basso per poi salire man mano che il corpo si abitua. Quando il corpo si è acclimatato è il momento buono per usare il venik e riattivare la circolazione. Dopo di che ci si butta nella vasca con l’acqua fredda o ci si rotola nella neve a seconda di dove ci si trova!

Tra un bagno di vapore e l’altro ci si rilassa bevendo un tè o del kvas e mangiando qualcosa (sconsigliatissimo l’alcool). Il rituale si ripete più volte e capite perché la banja è una cosa seria per cui ci si dovrebbe prendere almeno 2 ore di tempo. Ma la mia amica Nina mi ha suggerito anche 4 ore.

La banja è ancora oggi un’attività importantissima non solo perchè è un momento di relax e benessere ma è anche un momento di socializzazione con amici e parenti e può diventare anche un strumento di business.

Ma la banja esiste anche in città

E’ più facile trovare la vera banja lontano dalle grandi città e nei paesini di provincia. Come vi dicevo molte dacie posseggono la propria banja ed essere ospitati da amici vi assicurerà un’esperienza autentica, che però a volte mettono a disposizione anche strutture alberghiere. Nelle grandi città ci sono diversi bagni storici che comunque meritano una visita.

Soprattutto i Bagni Sanduny (Sandunovskye bany) a Mosca. Sono i più antichi e lussuosi di Mosca e tra i più famosi in Russia. In funzione dal 1808, sono un vero e proprio gioiello architettonico in stile “beaux arts”. I vari spazi sono tutti elegantissimi e arredati con stili diversi dal rococò al gotico, dal romano al moderno. Sono dotati di una parte pubblica, ma si può anche affittare una stanza privata. Eventualmente si può fare anche una visita guidata. Utilizzare la parte pubblica potrà essere un buon modo per conoscere gente del posto.

Ancora una cosa… vi presento Bannik!

Spirito abitante nella banja dalle sembianze di un vecchio nudo, spesso ricoperto di fango o delle foglioline del Venik. Talvolta può assumere le sembianze di un cane o un gatto. Uno spirito un pò cattivello, tanto che è meglio ingraziarselo con un’offerta propiziatoria. Mai fare la banja dopo la mezzanotte quando Bannik fa la sauna con altri spiriti della casa: Domovoj, Kikimora ecc.. Le fanciulle in età da marito consultavano Bannik per scoprire come sarebbe stato il loro futuro sposo. A seconda del segnale che ricevevano poteva essere buono e ricco oppure cattivo e povero. :)))

S lëgkim parom!” e a presto.

Mi sono innamorata di questa regione fin dal primo momento in cui ci ho messo piede. Sarà perché ha il sapore della famiglia visto che qui ci vivono i miei zii, sarà per la sua meravigliosa varietà, sarà il ricordo di quei bei tramonti autunnali sulle ampie campagne bordate di montagne e punteggiate di casolari, sarà perché adoro i suoi vini bianchi, sarà perché è così carico di quei “sassolini medievali” che ricerco un po’ ovunque.. Insomma un pezzettino di cuore è lì!

Una terra tanto sconosciuta quanto intensa e succosa. Il Friuli Venezia Giulia è una regione originale, completa: mare, montagne (e vorrei ricordarvi che una parte stupenda delle Dolomiti, si trova anche qui), colline (belle e suggestive come quelle di Umbria e Toscana), città d’arte, alcuni dei più bei borghi d’Italia (ben 12 per la precisione). Una regione dai mille volti, dalle mille suggestioni: da quelle paleocristiane e medievali a quelle mitteleuropee, a quelle della Grande Guerra con tutte le sfumature che ci sono in mezzo. Per farvela breve: volete il mare, c’è; volete la montagna, c’è; volete l’arte c’è; siete dei golosi, siete nel posto giusto; amate il vino, c’è…e che vini! Seguitemi.

“Il Friuli è un piccolo compendio dell’universo, alpestre, piano e lagunoso in sessanta miglia da tramontana a mezzodì.” Ippolito Nievo

Ragione n.1 Le Montagne

Le montagne friulane sono territori in cui laghi, boschi, torrenti, vallate e borghi piccoli ma carichi di fascino, regnano sovrani. Il Carso è un altopiano roccioso calcareo incastonato in quella striscia di terra che va da Gorizia a Trieste e si protende fino all’Istria. E’ una regione imperdibile per gli amanti della natura. Un susseguirsi di doline, sentieri, grotte e falesie a picco sul mare, che da tipicamente alpina scivola verso quella mediterranea man mano che ci si avvicina al mare. Protagonista della Grande Guerra è anche ricco di storia tra monumenti, sacrari e musei. Le Dolomiti friulane, patrimonio UNESCO, sono suddivise in tre comprensori principali: Piancavallo, Magredi e le Valli Pordenonesi, tutti contraddistinti da una natura incontaminata. Piancavallo (rinomata località sportiva) e il Parco Regionale delle Dolomiti Friulane sono imperdibili.

Ragione n.2 L’Arte medievale e paleocristiana

L’importanza dei Longobardi in Italia è evidente da nord a sud, l’eredità artistica ed architettonica che mescola elementi bizantini, germanici e romani, è stata riconosciuta patrimonio UNESCO. Soprattutto in Friuli se ne trovano testimonianze che toccano vette altissime. Non si può perdere Cividale dove si trovano il Tempietto Longobardo e il Museo Cristiano e Tesoro del Duomo dove sono custodite finissime opere di oreficeria e l’Altare del Duca Ratchis. L’arte paleocristiana della Basilica di Aquileia con il più grande mosaico pavimentale del mondo occidentale conservato. Ma poi ci sono decine di chiese, castelli e rocche di epoca medievale. Minuscoli paesini come Spilimbergo che custodiscono testimonianze medievali preziose come il Duomo di Santa Maria Maggiore. E ancora abbazie benedettine come Santa Maria in Silvis che nell’antichità era circondata da una vasta selva e quella di Rosazzo con un prezioso roseto dove crescono varietà antiche di rose come la damascena, la noisette e la centifoglia. Anche Trieste, nonostante la sua tipica atmosfera mitteleuropea custodisce due capolavori medievali. Il Duomo di Muggia risalente al XII secolo con la sua bianca facciata trilobata elegantissima nella sua semplicità e la Basilica di Santa Maria Assunta, sempre a Muggia.

Ragione n.3 Il Vino:

L’infinita varietà di questa terra si esprime anche nei suoi vini. Dalle dolci colline del Collio e dei Colli orientali nascono vini bianchi tra i migliori al mondo e corposi rossi. In una terra tra monti e mare il microclima è assolutamente unico e si sposa perfettamente con la “ponka“, il caratteristico terreno del Collio, ideale per la coltivazione della vite. Io trovo fantastici i vini bianchi. Il vitigno più celebre è il Tocai Friulano ma poi ci sono il Verduzzo, la Ribolla Gialla e la Malvasia Istriana, e il rarissimo Picolit. Ma anche i rossi Cabernet franc, il Merlot e lo Schioppettino.

Ragione n.4 Il Prosciutto:

Nella splendida cornice del delizioso borgo di San Daniele, Aria di Festa è una delle manifestazioni primaverili più suggestive a cui abbia partecipato. Ma durante tutto l’anno è possibile visitare i prosciuttifici della zona e gustare il famoso prosciutto. La lavorazione del Prosciutto di San Daniele richiede numerosi e delicati passaggi ancora oggi eseguiti secondo l’antica tradizione artigianale. Il vero segreto della lavorazione è però il microclima del Sandanielese, dato dall’incontro delle correnti fresche provenienti dalle Alpi con le correnti umide dell’Adriatico. Un prodotto rigorosamente tutto Made in Italy. Ma c’è anche un altro prosciutto d’eccellenza in Friuli ed è quello di Sauris, che deve la sua unicità al particolare metodo di affumicatura, effettuato bruciando legno di faggio dei boschi locali.

Ragione n.5 I caffè e l’eleganza mitteleuropea di Trieste:

Trieste profuma di caffè. Senza senza i suoi storici e famosi caffè, non sarebbe la stessa, luogo d’incontro di artisti e scrittori nel passato come oggi. Quella della torrefazione è un’industria molto importante e florida della città. Ci sono diversi caffè storici che organizzano anche visite e degustazioni. La sobria raffinatezza di questa città si condensa nella splendida Piazza Unità affacciata sul mare. Ha incantato e ispirato importanti scrittori come Rainer Maria Rilke, James Joyce, Italo Svevo. Città unica che è stata icona di poesia, tolleranza e multiculturalismo mittleuropeo.

Ragione n.6 Udine la “Serenissima”:

Con quelle piazzette che sembrano un “campiello” la città ha un fascino quasi veneziano. Da Piazza Libertà, “la più bella piazza veneziana sulla terraferma”, a Piazza Matteotti (o delle Erbe), che, tutta contornata da portici, sembra un salotto a cielo aperto, osserverete la carrellata di antichi e colorati palazzi che annunciano lo spirito di Udine. Sulle vie del centro si affacciano curati negozi e botteghe d’artigianato (l’arte orafa riprende gli stilemi longobardi), caffè e osterie storiche: una città a misura d’uomo!

Ragione n.7 Le Lagune:

La laguna è la meravigliosa cornice naturale in cui sorge Grado. Un piccolo mondo fantastico che offre uno scenario ricchissimo di colori, tra il verde della rigogliosa vegetazione e il blu del mare Adriatico. La laguna è una zona feconda di essenze arboree, e in particolare di tamerici, olmi, pioppi, ginepri e pini, mentre la fauna presenta una cospicua varietà di volatili, tra i quali gabbiani, aironi cinerini, germani reali, rondini di mare. Una gita in barca è il modo migliore per scoprirne a fondo le meraviglie.

+ 1 Fuori dal Turismo di massa:

Ultima ma non ultima motivazione. Pur essendo una Regione che ha veramente tantissimo da offrire è quasi sconosciuta al turismo italiano. Mi dispiace dirlo ma credo che sia una delle regioni italiane più sottovalutate. Quindi se siete alla ricerca di pace e tranquillità e volete visitare con tutta calma è il posto giusto!

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