Avete visto il film “Goodbye Lenin”? Siamo nei turbolenti giorni che precedettero il crollo del muro di Berlino, Christiane, convinta comunista della Berlino Est e donna già malata, intravede il figlio Alex ad una manifestazione. Dallo shock perde i sensi e batte la testa andando in coma. Si risveglia che ormai il muro è caduto, ma lei non lo sa e non lo scoprirà mai, perché fino alla sua morte Alex cerca di tenerla all’oscuro di tutto ciò che è successo.

Nel film emerge il sentimento di “nostalghja” abbastanza tipico in tutto l’ex Est comunista, ad esempio quando Christiane vuole mangiare proprio una particolare marca di cetriolini a cui era tanto affezionata. E’ un sentimento intimo e personale che ricorda un po’ quello di Proust per le madeleines. Il passato socialista a Budapest è un eco che fatica a trovare i suoi spazi. In parte sopravvive nella memoria di chi ha vissuto quell’epoca, in parte cerca di non scomparire travolto dal tempo e dalla smania di cambiare pelle. Si nasconde in piccoli dettagli.

Proprio qualche giorno mi è capitato di leggere di una petizione lanciata nella città, per salvare le insegne al neon di epoca sovietica che illuminavano le notti di Budapest, come una Parigi comunista, perché rischiano di andare perdute. Parlandone con Attila ho ritrovato quel sentimento proustiano. “Sono un ricordo legato alla mia infanzia. Il comunismo è stato parte del nostro passato, della nostra storia, perché dovremmo rinnegarlo?”.

Mettendo da parte quello che può essere stato il contesto storico e politico sono memorie affascinanti che meritano di essere preservate. Budapest non è una città facile da capire, è bella, è una delle città più visitate al mondo, ma capirla è tutt’altra cosa e spesso si rischia di viverla superficialmente. La storia qui si è susseguita in una maniera travolgente. In cento anni è passata attraverso l’Impero Asburgico, la breve Repubblica Socialista d’Ungheria nel 1918, la restaurazione ultraconservatrice di Miklós Horthy, la Seconda Guerra Mondiale, la repressione stalinista e la sanguinosa rivoluzione del ‘56. E poi i quarant’anni di comunismo che pure qui ha assunto una forma tutta sua, tanto che l’Ungheria viene definita la “baracca più felice” all’interno del campo sovietico. Poi c’è stata la fine dell’Unione Sovietica e la nuova spinta ultranazionalista dell’attuale governo.

Da un regime all’altro, gli ungheresi hanno sempre lottato per la propria libertà e indipendenza. In quest’ultima fase storica si sta cercando di cancellare tutto ciò che non sia magiaro e il periodo 1949-1989 non fa eccezione. Ma nonostante gli sforzi, alla fine qualcosa della Budapest socialista ancora sopravvive e ancora qualcuno cerca di preservarne la memoria.

In questo post troverete una piccola guida (sicuramente non esaustiva!) alle tracce del comunismo ancora visibili nella città. Seguitemi.

Le luci al neon

Vengono associate a modernità e progresso. Al di là della Cortina di ferro erano più il simbolo di un’illusione. Senza voler idealizzare l’epoca comunista, sono parte di un passato quotidiano e hanno un fascino che riside nella loro estetica e nella loro capacità di veicolare messaggi. Questi neon erano un modo per “educare” la popolazione, si trasformarono in uno strumento di propaganda attraverso il quale si voleva far passare una sensazione di stabilità, modernità e benessere.

Sponsorizzavano attività e messaggi più disparati: dalle agenzie di viaggio ai caffè, ai negozi di alimentari, ristoranti, gas naturale, negozi di antiquariato, raccomandazioni al traffico come: “Attenzione, Pazienza e Educazione”. Ed erano così tante da far guadagnare a Budapest la fama di Capitale europea del neon. Con il crollo del comunismo sempre più spesso ne venivano cancellate le tracce dalle strade e queste insegne che prima illuminavano la città vennero man mano spente.

Oggi molte sono fatiscenti, stanno lentamente scomparendo davanti agli occhi delle persone, spesso senza che queste abbiano interesse a fare qualcosa. Qui potete trovare il racconto dell’interessante progetto che si sta occupando di salvarle dalla distruzione, grazie al lavoro di una designer, Luca Patkos. Il lavoro si propone restaurare (potete leggere un esempio qui) e ricollocare nel luogo originario, radunare in un museo o anche semplicemente spostare in luoghi protetti queste insegne. E’ stata creata una mini esposizione on line sul sito Neon Budapest e ci potete trovare anche una mappa con la collocazione.

E sono veramente tantissime, sparse in tutta la città! Invece nel cortile del Museum of Electrical Engineering, un bell’edificio in stile Bauhaus, ne trovate alcune già restaurate.

Memento Park

Il Memento Park è un esempio dello strano e ambiguo appeal esercitato dal brutalismo postcomunista. E’ stato inaugurato nel 1993 quando l’Unione Sovietica non esisteva più da soltanto da una manciata di anni.

Visitare questo Parco è un momento di riflessione, una lezione di storia sussurrata. Una storia che non deve essere cancellata, ma le cui cicatrici devono essere sfruttate. A darvi il benvenuto sono gli “stivaloni” di Stalin, copia di una immensa statua abbattuta durante la rivolta antisovietica del 1956, e una Trabant azzurrina. Nel grande piazzale sono riunite le monolitiche statue che una volta glorificavano il proletariato, i leader del Partito e l’Armata Rossa, in centro città. Sono statue realizzate tra il 1945 e il 1989 ed avevano un ruolo fondamentale nella propaganda del regime comunista.

Quando cadde il Muro di Berlino in tutto il mondo sovietico i simboli del comunismo vennero distrutti, ma in molti paesi si decise di raccogliere questi simboli e radunarli in musei e parchi. Il Memento Park è uno di questi (a Mosca ad esempio c’è il Museon). Nel 2021 quando l’abbiamo visitato noi c’erano dei lavori di restauro ma in generale purtroppo, a causa della mancanza di fondi tutto ha un aspetto abbastanza trasandato.

Le statue sembrano essere posate un po’ alla rinfusa, ciuffetti d’erba spuntano nei sentieri, basamenti delle statue scrostati, un’esposizione di statue di Lenin che sembrano essere accatastate in un magazzino, un edificio posticcio ospita il piccolo cinema dove viene proiettato il film documentario “La vita di un agente”. Nella sala accanto al cinema viene raccontata la storia degli eventi della Rivoluzione del 1956 e dei cambiamenti politici del 1989-1990. Il Museo è di proprietà dello Stato, ma di fatto è gestito da alcuni privati con i proventi dei biglietti e del negozio di souvenir.

Si raggiunge abbastanza facilmente con i mezzi pubblici. Prendete la metropolitana M4 Kelenföld e dal piazzale dei bus si può prendere il 101B, il 101E o il 150 (il viaggio dura circa 25 minuti).

Bambi Eszpresszó

Il Bambi Eszpresszó non è una rivisitazione in stile retrò, no, lui è proprio rimasto così, impassibile e immutabile allo scorrere del tempo. Bambi è un tipico presszó (un bistrot) ungherese. L’origine del nome arriva proprio dal cerbiatto della Disney – qualcun altro sosteneva che arrivasse da un omonimo soft drink, una bevanda a base di arancia, molto in voga in quegli anni.

Alla sua realizzazione hanno partecipato architetti e designer ungheresi rinomati come Lívia Gorka (le ceramiche appese alla parete sono sue) e Miklós Erdély (a lui si attribuiscono le piastrelle dietro al bancone). Fu luogo di ritrovo di artisti, letterati, imprenditori. Qui di turisti ne troverete davvero pochi, per lo più i frequentatori sono locali, uomini panzuti che bevono birra e leggono il giornale, amici che si ritrovano dopo il lavoro, giovani universitari, signore del quartiere fuori per un drink. Le sedie all’interno, con il rivestimento rosso in finta pelle, sono ancora quelle in uso sin dall’apertura negli anni Sessanta.

E’ un luogo dove puoi mangiare e bere a prezzi stracciati (una birra piccola costa tipo 1,5 euro) e la colazione è il suo cavallo di battaglia.  

Anche Budapest ha la sua Statua della Libertà

Sorge sulla imponente collina dove si trova la Cittadella. E’ un luogo dove si respira la travagliata storia ungherese, la continua lotta per la propria indipendenza e libertà. Un luogo che sembra essere simbolo di libertà tanto quanto oppressione.

La Cittadella fu costruita nel 1854 dagli Asburgo come strumento di controllo per prevenire una nuova ribellione ungherese. Sfruttando la posizione dominante sulla città, fu in seguito utilizzata sia dai Nazisti che dall’Armata Rossa. I Comunisti decisero di erigere un monumento a memoria della vittoria ottenuta sui nazisti. Il complesso era costituito da cinque statue: due erano soldati dell’Armata Rossa – finiti poi al Memento Park; una donna che regge una torcia e un uomo che combatte un drago a cinque teste; e infine la Statua della Libertà (Szabadság Szobor), una donna che tiene una foglia di palma con entrambe le mani alzate verso il cielo e che domina la città.

Attenzione.. Articolo un po’ nerd di storia dell’arte in cui vi porto nel magico mondo degli Scacchi di Lewis. Se state programmando un viaggio a Londra vorrete mica non andare al British Museum. E queste meraviglie si trovano proprio lì e rischierebbero di passare inosservate in mezzo a tutto il popò di roba che offre questo Museo. A meno che… Voi non siate dei fanatici di arte medievale, in quel caso potreste saperne più di me e allora mi scusino!

Misteriosi e intriganti, proprio come la storia della loro scoperta. Sono stati ritrovati nel 1831 alle Ebridi, sull’isola di Lewis da cui prendono il nome. Il numero preciso dei pezzi non è stato immediatamente rilevato in maniera accurata e le transazioni che li hanno portati da Lewis a Edimburgo non sono ben documentate.

Nelle successive trattative di vendita la collezione è stata più volte divisa, alcuni pezzi vennero venduti separatamente, altri semplicemente si dispersero in mani private. Ad oggi i pezzi conservati sono 78 e si possono ammirare al British Museum di Londra (io li ho visti qui) e al National Museum of Scotland a Edimburgo.

Molte leggende circolano sulle loro origini e sulla loro storia e questo ha contribuito a generare un alone di mistero. Ma una cosa è certa, le loro simpatiche facce con quegli occhi spiritati, i delicati intagli delle barbe e dei capelli e i meravigliosi decori di scudi e troni sanno conquistare tutti i cuori. Sono dei piccoli capolavori di arte romanica.

Tanto da guadagnarsi un cameo in Harry Potter e la Pietra filosofale nella scena in cui Harry e Ron imparano a giocare a scacchi, abilità che tornerà loro utile quando dovranno affrontare l’incantata scacchiera gigante a guardia della Pietra.

Curiosi personaggi personaggi questi Scacchi di Lewis.

Nelle prime descrizioni appaiono proprio così: “curiosi”. Ma Sir Frédéric Madden ne riconobbe immediatamente anche il valore in quanto opera d’arte: delle mini sculture con caratteri simili alle loro sorelle “maggiori” in legno e pietra. Sono stati intagliati tra il 1150 e il 1200. Dove? Non è chiaro.. Inghilterra o Scandinavia, più probabilmente la seconda.

Si chiamano Arti Minori ma sono solo capolavori in miniatura!

Per molti secoli le arti minori furono più importanti dell’architettura, della pittura monumentale e della scultura, definite arti maggiori. Più adatte ad essere trasportate in un mondo in continuo movimento (pensate alle culture prevalentemente nomadi dei paesi del Nord e Slave, ma anche agli stessi sovrani occidentali che avevano corti itineranti) erano loro a definire le tendenze artistiche.

Per tutto l’alto Medioevo occupano un ruolo di primo piano e sono di una qualità colta e raffinata che le rende la più profonda espressione artistica di quei secoli. E forse non è un caso che quei pochi nomi di artisti giunti fino a noi fossero orafi: Vuolvinio, Godefroy, Nicolas de Verdun, il maestro Hugo. E accanto a loro i nomi dei grandi committenti tra cui spicca l’abate Suger di Saint Denis. Piccoli oggetti capaci di suscitare grandi emozioni. Considerati preziosi non tanto per i materiali pregiati, quanto per la qualità della manifattura e per il loro valore spirituale e simbolico capace di condurre “per visibilia ad invisibilia”.

La tendenza si inverte verso la fine del XI secolo. Da qui in poi saranno le arti maggiori a dominare la scena artistica, ma nelle arti minori si possono comunque identificare alcuni elementi comuni.

Ad esempio la monumentalità, che l’arte romanica condivide con quella del X e XI sec, insieme alla pesantezza e alla rigidità. I nostri buffi piccoli amici, con i loro ben dieci centimetri di altezza, potrebbero essere stati realizzati tra il 1150 e il 1200. In loro le forme sono estremamente semplificate, le pieghe degli abiti sono quasi un ornamento, le figure sembrano masse pesanti compresse in poco spazio la cui pressione sembra voler esplodere dagli occhi. Hanno un’impostazione bidimensionale come se fossero dei rilievi che emergono da un fondo piatto e questo dona loro un aspetto primitivo.

Che si tratti di re o regine, di cavalieri o vescovi hanno tutti la stessa espressione stralunata con grandi occhi sporgenti, labbro superiore prominente e piegato all’ingiú. Molta più fantasia è stata utilizzata nel decorare i troni. Ognuno di essi presenta una propria particolarità dai motivi geometrici, animali avvolti in viticci, ornamenti arabeggianti. Tutti motivi ampiamente utilizzati in manoscritti, oreficerie, altri manufatti in avorio e architetture negli stessi anni.

I Re

I re sui loro troni reggono tutti una spada con entrambe le mani, poggiata sulle ginocchia. Potrebbe trattarsi di un simbolo di forza fisica ma anche dell’amministrazione della giustizia. Il mantello è rimboccato sul lato destro per permettere l’impugnatura della spada.

Le pieghe delle vesti presentano un marcato linearismo che ritroviamo anche nei manoscritti dello stesso periodo. Il re era come un padre per il popolo, questa figura paterna è sottolineata dalle folte barbe che presentano tutti tranne un paio. I capelli sono raccolti in trecce che ricadono sulla schiena secondo la moda del tempo. Solo uno sfoggia un caschetto da fare invidia a Raffaella Carrà.

Le Regine

Assise su troni decorati come i re anche loro ci permettono di farci un’idea delle mode del tempo. Sotto la corona indossano un velo che ricade sulle spalle. Quasi tutte hanno questa strana posa con la mano destra sul viso e la sinistra che sorregge il gomito opposto.

Due reggono un corno (la cui simbologia non è chiara) nella mano sinistra e una un lembo del vestito o un velo. Anche per le regine gli abiti presentano un forte linearismo, su alcune ancora più accentuato.

I Vescovi

Alcuni sono in piedi, altri seduti su troni. Tutti indossano la mitra e impugnano un pastorale, alcuni con due mani, altri con una, reggendo nell’altra una Bibbia o benedicendo.

I Cavalieri

Montano cavalli tozzi e irsuti che sembrano più che altro pony. Sono pronti per la battaglia, indossano elmi, scudi, spade, lance. Gli elmi sono di varia forgia: conico con para orecchie e naso come d’uso dal XI sec, oppure il Chapel de Fer un elmetto tondo simile ad una cuffia. Gli scudi sono finemente decorati.

Le Guardie e le pedine

Le guardie sono raffigurate come soldati di fanteria. Tre sono davvero particolari, mordono rabbiosamente lo scudo. La spiegazione di questa strana furia la si trova nelle saghe norvegesi. I guerrieri di Odino si lanciavano in combattimento mordendo i loro scudi e questa frenesia aveva il nome di Berserksgangr. Berserker potrebbe derivare da “bear shirt” o “bare shirt”, a entrambi si attribuiva il significato di selvaggio.

Le pedine sono tutte inanimate

Il ruolo degli scacchi

Da sempre sono considerati un gioco complesso di strategia e abilità. Le origini non sono chiare e vanno dalla Grecia all’Egitto, dall’India alla Persia. In arabo la parola scacchi è shatranj, derivazione del persiano chatrang e dal sanscrito chaturanga. Le prime scacchiere risalgono al VII e IX secolo. Dalle lontane terre arabe il gioco è giunto in Europa dove ha assunto proprie caratteristiche. Ad esempio la figura del Visir diventò la regina con la sua funzione di consigliere, quella che negli scacchi persiani era il carro di guerra diventò la torre, la figura del vescovo era inesistente e probabilmente era in sostituzione del principe.

Nella chiesa di San Savino a Piacenza c’è un curioso mosaico pavimentale che rappresenta una grande scacchiera. Solo uno dei due giocatori appare raffigurato. Dell’altro spunta solo un braccio che discende sulla scacchiera. Forse mancanza di spazio per la raffigurazione? O forse questo mosaico riprende la tematica della Ruota della Fortuna rappresentata centralmente e potrebbe indicare il gioco degli scacchi contro Morte e Fortuna?

Qui vi ho parlato di altre serie di scacchi affascinanti. Questa volta siamo a San Pietroburgo. In Russia questo gioco ha conosciuto una fama straordinaria in epoca sovietica, quando i comunisti decisero di diffondere questo hobby alle grandi masse e trasformarlo in una vera e propria arma politica. Ciò era dovuto al fatto che questo sport insegna a pensare in modo strategico, e per l’URSS era fondamentale dimostrare la propria superiorità intellettuale.

Basta.. fine del post nerd! Gli scacchi di Lewis vi aspettano, non dimenticatevi di loro.

Io invece vi aspetto su IG e FB.

Mi sono innamorata di questa regione fin dal primo momento in cui ci ho messo piede. Sarà perché ha il sapore della famiglia visto che qui ci vivono i miei zii, sarà per la sua meravigliosa varietà, sarà il ricordo di quei bei tramonti autunnali sulle ampie campagne bordate di montagne e punteggiate di casolari, sarà perché adoro i suoi vini bianchi, sarà perché è così carico di quei “sassolini medievali” che ricerco un po’ ovunque.. Insomma un pezzettino di cuore è lì!

Una terra tanto sconosciuta quanto intensa e succosa. Il Friuli Venezia Giulia è una regione originale, completa: mare, montagne (e vorrei ricordarvi che una parte stupenda delle Dolomiti, si trova anche qui), colline (belle e suggestive come quelle di Umbria e Toscana), città d’arte, alcuni dei più bei borghi d’Italia (ben 12 per la precisione). Una regione dai mille volti, dalle mille suggestioni: da quelle paleocristiane e medievali a quelle mitteleuropee, a quelle della Grande Guerra con tutte le sfumature che ci sono in mezzo. Per farvela breve: volete il mare, c’è; volete la montagna, c’è; volete l’arte c’è; siete dei golosi, siete nel posto giusto; amate il vino, c’è…e che vini! Seguitemi.

“Il Friuli è un piccolo compendio dell’universo, alpestre, piano e lagunoso in sessanta miglia da tramontana a mezzodì.” Ippolito Nievo

Ragione n.1 Le Montagne

Le montagne friulane sono territori in cui laghi, boschi, torrenti, vallate e borghi piccoli ma carichi di fascino, regnano sovrani. Il Carso è un altopiano roccioso calcareo incastonato in quella striscia di terra che va da Gorizia a Trieste e si protende fino all’Istria. E’ una regione imperdibile per gli amanti della natura. Un susseguirsi di doline, sentieri, grotte e falesie a picco sul mare, che da tipicamente alpina scivola verso quella mediterranea man mano che ci si avvicina al mare. Protagonista della Grande Guerra è anche ricco di storia tra monumenti, sacrari e musei. Le Dolomiti friulane, patrimonio UNESCO, sono suddivise in tre comprensori principali: Piancavallo, Magredi e le Valli Pordenonesi, tutti contraddistinti da una natura incontaminata. Piancavallo (rinomata località sportiva) e il Parco Regionale delle Dolomiti Friulane sono imperdibili.

Ragione n.2 L’Arte medievale e paleocristiana

L’importanza dei Longobardi in Italia è evidente da nord a sud, l’eredità artistica ed architettonica che mescola elementi bizantini, germanici e romani, è stata riconosciuta patrimonio UNESCO. Soprattutto in Friuli se ne trovano testimonianze che toccano vette altissime. Non si può perdere Cividale dove si trovano il Tempietto Longobardo e il Museo Cristiano e Tesoro del Duomo dove sono custodite finissime opere di oreficeria e l’Altare del Duca Ratchis. L’arte paleocristiana della Basilica di Aquileia con il più grande mosaico pavimentale del mondo occidentale conservato. Ma poi ci sono decine di chiese, castelli e rocche di epoca medievale. Minuscoli paesini come Spilimbergo che custodiscono testimonianze medievali preziose come il Duomo di Santa Maria Maggiore. E ancora abbazie benedettine come Santa Maria in Silvis che nell’antichità era circondata da una vasta selva e quella di Rosazzo con un prezioso roseto dove crescono varietà antiche di rose come la damascena, la noisette e la centifoglia. Anche Trieste, nonostante la sua tipica atmosfera mitteleuropea custodisce due capolavori medievali. Il Duomo di Muggia risalente al XII secolo con la sua bianca facciata trilobata elegantissima nella sua semplicità e la Basilica di Santa Maria Assunta, sempre a Muggia.

Ragione n.3 Il Vino:

L’infinita varietà di questa terra si esprime anche nei suoi vini. Dalle dolci colline del Collio e dei Colli orientali nascono vini bianchi tra i migliori al mondo e corposi rossi. In una terra tra monti e mare il microclima è assolutamente unico e si sposa perfettamente con la “ponka“, il caratteristico terreno del Collio, ideale per la coltivazione della vite. Io trovo fantastici i vini bianchi. Il vitigno più celebre è il Tocai Friulano ma poi ci sono il Verduzzo, la Ribolla Gialla e la Malvasia Istriana, e il rarissimo Picolit. Ma anche i rossi Cabernet franc, il Merlot e lo Schioppettino.

Ragione n.4 Il Prosciutto:

Nella splendida cornice del delizioso borgo di San Daniele, Aria di Festa è una delle manifestazioni primaverili più suggestive a cui abbia partecipato. Ma durante tutto l’anno è possibile visitare i prosciuttifici della zona e gustare il famoso prosciutto. La lavorazione del Prosciutto di San Daniele richiede numerosi e delicati passaggi ancora oggi eseguiti secondo l’antica tradizione artigianale. Il vero segreto della lavorazione è però il microclima del Sandanielese, dato dall’incontro delle correnti fresche provenienti dalle Alpi con le correnti umide dell’Adriatico. Un prodotto rigorosamente tutto Made in Italy. Ma c’è anche un altro prosciutto d’eccellenza in Friuli ed è quello di Sauris, che deve la sua unicità al particolare metodo di affumicatura, effettuato bruciando legno di faggio dei boschi locali.

Ragione n.5 I caffè e l’eleganza mitteleuropea di Trieste:

Trieste profuma di caffè. Senza senza i suoi storici e famosi caffè, non sarebbe la stessa, luogo d’incontro di artisti e scrittori nel passato come oggi. Quella della torrefazione è un’industria molto importante e florida della città. Ci sono diversi caffè storici che organizzano anche visite e degustazioni. La sobria raffinatezza di questa città si condensa nella splendida Piazza Unità affacciata sul mare. Ha incantato e ispirato importanti scrittori come Rainer Maria Rilke, James Joyce, Italo Svevo. Città unica che è stata icona di poesia, tolleranza e multiculturalismo mittleuropeo.

Ragione n.6 Udine la “Serenissima”:

Con quelle piazzette che sembrano un “campiello” la città ha un fascino quasi veneziano. Da Piazza Libertà, “la più bella piazza veneziana sulla terraferma”, a Piazza Matteotti (o delle Erbe), che, tutta contornata da portici, sembra un salotto a cielo aperto, osserverete la carrellata di antichi e colorati palazzi che annunciano lo spirito di Udine. Sulle vie del centro si affacciano curati negozi e botteghe d’artigianato (l’arte orafa riprende gli stilemi longobardi), caffè e osterie storiche: una città a misura d’uomo!

Ragione n.7 Le Lagune:

La laguna è la meravigliosa cornice naturale in cui sorge Grado. Un piccolo mondo fantastico che offre uno scenario ricchissimo di colori, tra il verde della rigogliosa vegetazione e il blu del mare Adriatico. La laguna è una zona feconda di essenze arboree, e in particolare di tamerici, olmi, pioppi, ginepri e pini, mentre la fauna presenta una cospicua varietà di volatili, tra i quali gabbiani, aironi cinerini, germani reali, rondini di mare. Una gita in barca è il modo migliore per scoprirne a fondo le meraviglie.

+ 1 Fuori dal Turismo di massa:

Ultima ma non ultima motivazione. Pur essendo una Regione che ha veramente tantissimo da offrire è quasi sconosciuta al turismo italiano. Mi dispiace dirlo ma credo che sia una delle regioni italiane più sottovalutate. Quindi se siete alla ricerca di pace e tranquillità e volete visitare con tutta calma è il posto giusto!

La Romania è strana! Non in senso negativo, ma proprio nel senso più profondo del termine… nel senso di una suggestione particolare, difficile da descrivere tra il surreale e il malinconico. Arcano! Un posto dove le cicogne fanno ancora il nido sui pali della luce sopra un grumo di cavi lungo le strade ma ci sono anche i locali di tendenza nella capitale.

Un Paese in bilico tra le sue contraddizioni: l’antichità e il passato sovietico; i carretti trainati da cavalli e le città con tanta voglia di proiettarsi verso il futuro. A Bucarest convivono spalla a spalla palazzi e intere vie curati e restaurati di fresco con quelli sgualciti e decadenti. Le città sulla costa del Mar Nero sono in pieno fermento costruttivo, come se fossero ancora nei nostri anni ’60-’70, eppure un gioiello architettonico come il Casinò di Costanza giace in rovina.

Viaggiare in auto.

Per questo viaggio abbiamo optato per la soluzione Fly&Drive. L’itinerario era abbastanza lungo (circa 800 km) e dunque era la soluzione migliore per spostarsi velocemente da una località all’altra. Le strade non sono tutte in ottime condizioni ma non sono nemmeno così tragiche. Partendo da Bucarest abbiamo attraversato paesini color pastello in stile sassone con le case srotolate lungo la via principale, bordeggiati da vigne, colture di granturco e boschi. Ci siamo fermati in luoghi inaspettatamente interessanti ammirando la bellezza rurale della Transilvania e siamo riusciti a raggiungere con comodità la Chiesa fortificata di Biertan.

Sulla costa del Mar Nero abbiamo utilizzato i mezzi pubblici e le immancabili e pittoresche marshrutki! Quest’ultima è un’esperienza di sovietica memoria che consiglio di provare.

Un itinerario fra il medioevo in Transilvania, la Valacchia e fino al Mar Nero

1) Bucarest e il Museo Architettura in legno

Bucarest è una città frizzante, si intuisce che ha voglia di cambiamento.  L’architettura è variegata. Dai palazzi dal sapore parigino a quelli di stampo sovietico (esempio sopra tutti il Palazzo del Parlamento di Nicolae Ceausescu). Ma sono presenti anche elementi bizantini come la piccola Chiesa ortodossa di Stavropoleos in stile Brâncoveanu (commistione di elementi bizantini e ottomani) situata proprio nel bel mezzo del centro storico. La città è famosa per i suoi parchi, (cosa abbastanza comune in tutte le città dell’Est). Noi abbiamo visitato il Parcul Cișmigiu, il più antico di Bucarest. Ha alcuni angolini davvero suggestivi con ponticelli che si specchiano nel lago e il chioschi per l’orchestra.

Sulla sponda del lago Herestreau sorge il Muzuel National al Satului “Dimitrie Gusti”. Un vero viaggio indietro nel tempo nella Romania rurale con edifici in legno originali trasportati da varie parti del Paese per documentare la vita della campagna rumena.

2) Brașov – Busteni- Sinaia

Brașov è una cittadina immersa nei Carpazi il cui centro è visitabile comodamente in una mezza giornata.  Il sito conobbe grande sviluppo in epoca medievale grazie all’insediamento di artigiani e mercanti sassoni chiamati a sviluppare il territorio da Re Geza intorno alla metà del 1100. L’influenza tedesca è perfettamente visibile nello stile architettonico della città. Una delle cose che colpiscono e vengono ricordate con simpatia è la scritta Brașov, in stile holliwoodiano sulla cima del monte Tampa. Da non perdere l’imponente Chiesa Nera di epoca tardo gotica.

Non lontano da Brașov si trovano Sinaia e il paesino di Bușteni con le sue viste mozzafiato sulla catena montuosa dei Carpazi. E’ una piccola località turistica di montagna, prendendo la funivia si può raggiungere l’altopiano dei monti Bucegi dove si trova la Sfinge di Bucegi – formazione rocciosa che ricorda una sfinge – e si possono fare deliziosi trekking. Ma anche il paesino in sé merita una visita, camminando per le sue vie si possono scorgere casette di legno e di pietra e il bel Castello di Cantacuzino. Sinaia invece è rinomata per il Castello di Peles. Avvolto da montagne verdissime ricorda un palazzo alpino tedesco con le tradizionali trame lignee delle case a graticcio.

3) Sighișoara – comprare un mazzolino di fiori da una zingara ai piedi della Scala degli Studiosi

Anche Sighișoara è una città antica. La cittadella medievale fortificata con le torri dedicate alle varie corporazioni, con le sue stradine acciottolate e le botteghe artigiane è arroccata sulla collina. Ha origini che risalgono al XII sec quando anche qui giunsero i sassoni chiamati dai Re d’Ungheria. Ancora oggi i sassoni costituiscono una importante minoranza in Transilvania. La chiesa gotica sulla collina si raggiunge attraverso una lunga scalinata con una copertura in legno annerita dal tempo, la Scala degli Studiosi, ed è affiancata da uno dei più suggestivi cimiteri che io abbia mai visto. Si dipana tutto un po’ in pendenza lungo la collina tra tombe ricoperte dall’edera, vialetti acciottolati e alberi secolari.

4) Sibiu

Indovinate un pò chi si era insediato qui? I sassoni. Lo si nota dall’aspetto delle case, dalla lingua che parla la gente, dai nomi sulle targhe sugli edifici. Ma qui vivono anche minoranze ungheresi insieme ai rumeni e ai gitani. Un crocevia di popoli e culture ciascuno con la propria religione e le proprie chiese, la propria lingua e tradizioni. Un patrimonio culturale eccezionale. Sibiu è una città medievale degna del mondo stravagante che brulica nei margini miniati nei manoscritti (le Droleries o Babewyn o Verkehrte Welt).

Qui le case hanno occhi e i ponti hanno orecchi! Le alte falde dei tetti hanno abbaini stretti che ricordano occhi maliziosi e curiosi che spiano i passanti. A volte è un po’ inquietante! Il Ponte delle Bugie si dice che abbia orecchie e che possa svelare le menzogne pronunciate su di esso (in realtà si tratta di un ponticello in ghisa di finissima manifattura). Tutto ciò mi ha ricordato il mondo “alla rovescia” delle favole letterarie che fiorì verso la fine del 1100 un po’ ovunque in Europa e che esplose sui bordi dei libri medievali. Storie impossibili un pò come un orso che insegue un falcone in cielo o un corvo che pesca maiali in un ruscello.

E poi quando ti ostini a cercare medioevo ovunque ti capita anche di trovare un Abbazia Cistercense in un minuscolo comune di 800 anime. Il Monastero Cistercense di Cârța, fu costruito dai monaci di Igriș intorno al 1205. Ma i primi edifici erano in legno e non sono pervenuti, nel 1230 iniziò la vera propria costruzione del monastero conclusasi nel 1320. Attaccato da tatari e turchi è esempio di gotico primitivo in Transilvania.

La chiesa del monastero era una basilica a tre navate con un grande rosone in facciata, portale strombato, transetto e coro poligonale. Purtroppo di questa prima costruzione si è conservato molto poco. Un sentierino lastricato che attraversa un piccolo cimitero conduce a quella che attualmente è la chiesa ricavata nel coro e nell’abside della ex basilica. Le ricerche archeologiche hanno portato alla luce tombe funerarie datate tra il XIII e il XIV secolo.

5) Constanța – Mamaia

La cosa che più mi ha fatto male è stata vedere l’agonia del Casinò di Costanza, il gioiello liberty che sorge su una terrazza affacciata sulle acque scure del Mar Nero.  Vittima della selvaggia speculazione edilizia e dell’incuria degli anni 90. Purtroppo io non sono riuscita a visitare gli interni, ma i ragazzi di Sotto la Polvere hanno avuto questa fortuna e sul loro blog troverete un sacco di foto bellissime che vi faranno innamorare. Per fortuna, pare che negli ultimi anni qualcosa si stia muovendo in senso positivo nel recupero della struttura. Un progetto europeo e l’attività di un gruppo di giovani architetti rumeni con sede a Costanza, hanno permesso agli abitanti di ricominciare a frequentare il Casinò. Ci sono concerti e serate di lettura.

Mamaia è un po’ una Rimini sul Mar Nero. File di hotel e residence, lounge bar sulla spiaggia, ristoranti di pesce e locali più o meno informali ( e più o meno kitch) ma sicuramente super turistici. A noi interessava soprattutto passare qualche giorno in una spiaggia il più possibile isolata, così abbiamo scelto un hotel distante dal centro cittadino. A circa un kilometro c’era una bella spiaggia con un chioschetto che mandava a ripetizione una compilation di capolavori pop rivisitati in stile bossanova!  E’ stata la colonna sonora delle nostra giornate in spiaggia sotto il tiepido sole di fine estate e la brezza sottile.

Questa è la prima di una serie di pillole sul Friuli Venezia Giulia che voglio scrivere. Perché voglio parlarvi di questa regione? E’ una regione a cui sono molto legata perché una parte della mia famiglia vive lì e quindi la conosco abbastanza bene. E’ una regione ricca di testimonianze longobarde!Ma non è solo questo il motivo.

E’ una regione bellissima, ricca di storia, di eccellenze artistiche, di varietà climatico-paesaggistiche (si va dalla montagna al mare, alle colline con i vigneti). Purtroppo spesso viene poco valorizzata e pubblicizzata. Però in tutto questo c’è un lato positivo.

E’ ancora lontana dalle frotte di turisti che animano città come Roma, la vicina Venezia o Firenze. Per questo motivo ho deciso di organizzare un primo minitour alla scoperta di alcune delle sue bellezze, ovviamente con un occhio di riguardo per quelle medievali. Potete trovare la descrizione dell’itinerario con le date qui

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Forum Iulii

Nel frattempo ogni tanto vi parlerò di qualche perla di questa regione. Il nostro viaggio inizia da Cividale del Friuli. L’antica Forum Iulii, da cui deriva il nome Friuli. Città ricca di testimonianze longobarde perchè fu luogo del primo insediamento di questo popolo in Italia. Fu edificata ai piedi delle Alpi Giulie lungo le rive del fiume Natisone, in una posizione ideale per controllare il territorio circostante. Era un castrum, ovvero una cittadella fortificata.

Il Ponte del Diavolo congiunge le due sponde su cui sorge la città. Nel 568 d.C. divenne sede del primo ducato longobardo in Italia, come ci racconta il cronista dei longobardi, il cividalese Paolo Diacono. In epoca medievale, dopo un lungo periodo di dominazione veneziana, fu importante centro politico economico ed ecclesiastico al tempo in cui vi si stabilì la sede del Patriarcato di Aquileia.

Il centro storico è piccolino ma pittoresco e suggestivo. Popolato di importanti testimonianze longobarde e non solo. Il Museo Archeologico contiene preziosi reperti di epoca romana, paleocristiana, altomedioevale, romanica e gotica. La sua collezione di monete longobarde è considerata la seconda al mondo per la qualità e il numero dei pezzi. Il Museo Cristiano del Duomo custodisce il meraviglioso altare del Duca Ratchis.

Ci sono poi Il Battistero di Callisto; l’ipogeo celtico; la piccola chiesa dei Santi Pietro e Paolo; la chiesa di San Francesco; la Pala di Pellegrino II opera davvero pregevole per tanti motivi tra cui l’utilizzo precoce della tecnica tipografica delle sue iscrizioni, e il bellissimo Crocifisso custoditi all’interno del Duomo. E poi c’è il mio amato Tempietto Longobardo.

Il tempietto longobardo

Piccolo oratorio situato all’interno del Monastero di Santa Maria in Valle che si affaccia sul verde- azzurro delle rive del Natisone. E’ una straordinaria testimonianza dell’architettura altomedievale. Originariamente doveva essere una cappella palatina, la cappella della residenza del rappresentante del re longobardo la cosiddetta gastaldaga.

Si tratta di un piccolo oratorio in cui però venero adottate soluzioni architettoniche che tendono a dilatare lo spazio e dare slancio verticale. E’ come uno scrigno dalla semplice linearità esterna che racchiude un capolavoro. In questo senso mi ricorda la cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova. Tra la fine del IX e l’inizio del X sec l’area della gastaldaga venne donata al convento benedettino femminile e con essa anche la cappella. Al suo interno si sono conservate decorazioni e statue in stucco dell’VIII sec.

Al piccolo sacello si accede attraverso una porta posta nel lato meridionale direttamente nel presbiterio (la parte della chiesa riservata al clero officiante). L’ambiente è suddiviso in due corpi architettonici distinti: il presbiterio e l’aula. Il primo è separato dal secondo da una recinzione con due esili colonnine che sorreggono un architrave lignea. I capitelli di queste colonne sono probabilmente di origine antica.

L’aula ha nicchie con arconi alle pareti che sottolineano lo slancio verticale della struttura. La parete più articolata è quella occidentale, dove si trovava anticamente anche l’ingresso principale al tempietto. L’architrave della porta è in stucco e appena sopra c’è un grande arco delimitato da due ghiere floreali. La cosa che cattura immediatamente lo sguardo entrando nel piccolo oratorio sono le sei figure di sante e martiri proprio sopra questo arco.

La serie di figure femminili

Queste figure sono alte circa 2 metri e mostrano relazioni con la statuaria omayyade. Forse dovuta alla presenza di maestranze bizantine con influenze islamiche. Costantinopoli, ai confini di due mondi quello classico greco-romano e quello orientale, sviluppò due espressioni artistiche differenti. Da un lato reminiscenze dell’arte naturalistica e delicata dei greci, dall’altra la rigidità e l’austerità dell’arte asiatica. Le lunghe file di santi con grandi occhi scuri, in posizione rigidamente eretta e solenne sono espressione di una tendenza alla preferenza per un’arte ieratica tipica dell’Oriente.

Al centro si trova una finestra arcata decorata con motivi ad intreccio internamente, ed esternamente a palmette e fiori di loto. Il complesso delle sante è incorniciato da fregi orizzontali decorati con stelle o rosette ad otto petali.

Gli affreschi

Gli affreschi in gran parte perduti meritano attenzione. Nella lunetta sopra il portale principale è rappresentato Cristo tra gli arcangeli Michele e Gabriele. Interessanti sono le figure di sei santi. Soltanto una di queste figure rappresenta un ecclesiastico.

Tutte le altre sono santi guerrieri. E questo non può stupire perché il periodo in cui venne eretto il tempietto, era precario per il regno. Quindi particolare importanza venne riconosciuta ai martiri militari che dovevano intercedere presso Dio. La forma ovale dei loro volti è finemente modellata.

Le figure tutte uguali sembrano ripetersi come matrici. I grandi occhi aperti e fissi , la testa circondata da un nimbo giallo scuro, le sopracciglia tendenti ad unirsi sopra la radice del naso sottile. I modelli sono chiaramente bizantini.

Le testimonianze longobarde in Friuli sono molte ma il tempietto è sicuramente una delle più significative.

Non solo arte

Cividale è famosa anche per una golosità molto particolare: la gubana. Dolce friulano nato proprio nelle valli del Natisone, simbolo di queste valli e di Cividale. Un dolce che ha un legame con la Slovenia. Il termine: “guba”, da cui deriva in sloveno significa “piega”, probabilmente per indicare la forma a torciglione della gubana. Già in epoca romana esisteva l’usanza di farcire il pane con frutta e miele.

Tradizione che perdurò anche nel medioevo e nel rinascimento. Un dolce simile fu servito a Papa Gregorio XII durante la sua visita a Cividale nel 1409.  Veniva donata per augurare prosperità e ricchezza, e per questo immancabile durante i banchetti di nozze.

Io vi consiglio di provare quella prodotta dalla pasticceria Vogrig che si trova appena fuori dal centro cittadino.

La Gubana dolce tipico di Cividale

Nei mesi scorsi si è parlato molto di uno dei grandi capolavori delle cattedrali medievali:  Notre-Dame di Parigi.  Che cosa ne pensate voi del Medioevo? Per molti è un periodo strambo e bigotto, arretrato (appena si vuole indicare qualcosa come retrogrado si grida subito al Medioevo). Per altri è affascinante, adulato , un periodo di forte relazione con i ritmi della natura .  Come diceva Jacques Le Goff  il nostro tempo ha del Medioevo due differenti immagini : “noire” e “idealisé” (oscuro e idealizzato). Da un lato il Medioevo retrogrado e lugubre, dall’altro quello poetico, soave.

Ma tralasciando le riflessioni su chi abbia ragione sul Medioevo, vi voglio raccontare qualcosa delle molte Notre-Dame che vennero costruite e del “tempo delle cattedrali”.

Lo “style 1200”

Tutto ha inizio nella regione settentrionale della Francia. Da qui parte un movimento artistico che segna il passaggio graduale dall’arte romanica a quella gotica. Prende il nome di “style 1200”. Inizia verso il 1175 in Champagne e da qui si propaga nel Laonnais, nel Soissonnais e nel Artois. L’Ile de France e Parigi, che in quel  periodo era una città in piena espansione politica e demografica, hanno fortemente contribuito allo sviluppo di questo movimento .

La cattedrale di Parigi ovviamente risente di questo stile, come prima di lei già altre cattedrali ad esempio Saint Denis, Laon, Noyon e Sens. Le sue caratteristiche sono maggiormente evidenti nella miniatura, nelle vetrate e negli smalti. Ritroviamo una tendenza “antichizzante” che abbandona gradualmente tutte le forme di stilizzazione romanica, sebbene talvolta i due stili convivano ancora nella medesima opera. Lo stile diventa armonioso ed elegante con influssi classici .

Questi piccoli oggetti si diffondevano con facilità e divennero un modello anche per le opere architettoniche. Il rosone occidentale di Notre-Dame a Parigi e le vetrate di Laon sono chiaramente ispirate alle miniature di uno dei capolavori dello stile 1200: il salterio della regina Ingeborg. Le strutture architettoniche invece, daranno spazio ad un nuovo elemento fondamentale affrontato con una differente ottica: la luce. Per questo appariranno ampie vetrate, archi a sesto acuto, volte a costoloni, archi rampanti esterni.

Il gotico maturo

Gradualmente lo stile 1200 lascerà lo spazio ai caratteri del gotico classico. Parigi sarà il principale centro di irradiazione. E non a caso! Nella sua Università troverà la propria roccaforte la filosofia scolastica. La cattedrale gotica, è profondamente legata ad essa.

Questo legame è stato studiato a fondo da uno storico dell’arte, Erwin Panofsky . “Architettura gotica e filosofia scolastica” spiega come nella loro composizione le cattedrali gotiche siano un trattato scolastico in pietra.  In esse ” i singoli elementi pur formando una unità indivisibile devono proclamare la loro identità  restando chiaramente separati l’uno dall’altro- i fusti dal muro o dal nucleo del pilastro; i costoloni da quanto li circonda; ogni membratura verticale dai rispettivi archi; e inoltre deve esistere tra loro una correlazione senza equivoci”. Esattamente come un trattato è suddiviso in varie parti, così anche la struttura della cattedrale è suddivisa in molte parti che formano un’insieme, ma restando ciascuna chiaramente distinta dall’altra.

Proprio come la Summa scolastica la cattedrale del gotico maturo tentò di incorporare la totalità del sapere cristiano, teologico, morale naturale e storico.

Il mio viaggio

Per colpa di questo libricino qualche hanno fa ho voluto fare un viaggio alla scoperta di questi libri di pietra. Così è nata la proposta di itinerario che potete trovare qui.  

Per chi ama guidare è un ottimo fly&drive, a mio avviso il modo migliore per visitare questa regione perdendosi tra le mille meraviglie che offre!  Noi siamo partiti con la nostra auto direttamente da Torino, ma l’ideale è prenotare un volo fino a Parigi e poi noleggio dell’auto (ritiro e consegna in aeroporto).

Le molte Notre-Dame

Le cattedrali sorgono imponenti in deliziosi e pittoreschi borghi della campagna francese, in Piccardia e tra le colline dello Champagne:

Notre-Dame di Reims: la cattedrale dove venivano incoronati i Re, famosa per i suoi rilievi e le sue sculture come l’Angelo Sorridente.

Notre Dame di Reims

Notre-Dame di Amiens: il complesso scultoreo scultoreo della cattedrale è tanto imponente e completo di episodi del Vecchio e Novo testamento da essere soprannominato   “Bibbia di Amiens”

Notre Dame di Amiens

Notre-Dame di Chartres di cui sono rinomate le vetrate con il loro blu inimitabile e il labirinto nel pavimento della navata. Questo labirinto è uno dei meglio conservati ed è il più grande giunto dall’epoca medievale ai nostri giorni.

Notre-Dame di Laon: Il suo rosone è una dei primi esempi dell’arte gotica, le sue vetrate sono in gran parte ancora originali. Ma la cosa che più colpisce sono i buoi delle due torri in facciata. Guardano la campagna circostante, quasi fosse un omaggio al lavoro fatto per portare le grosse pietre sulla cima della “Montagna d’oro” sulla quale si erge la cattedrale.

Notre-Dame di Noyon: una delle più antiche cattedrali gotiche. Nella sua imponente facciata si nota bene il passaggio da romanico a protogotico.  La navata mostra per la prima volta l’alzato a 4 piani: arcate, matroneo, triforio e claristorio.

Notre-Dame di Parigi: Sulla cattedrale della capitale francese è stato detto molto. Qui ho trovato un interessantissimo articolo sulla storia contemporanea di questo capolavoro medievale.

Molte cattedrali gotiche sono dedicate a Notre Dame. Ma in particolare alcune di queste, fanno parte di un gruppo la cui disposizione sulla superficie terrestre riproduce la costellazione della Vergine. E’ dunque è affascinante che queste cattedrali siano dedicate proprio a Nostra Signora.

Lo champagne

Se siete appassionati di vino proprio non potete perdervi una visita con degustazione presso le più emblematiche cantine: Mumm, Ruinart, Jaquemart, Mercier, Dom Perignon, Veuve Clicquot, ce ne sono davvero tantissime soprattutto a Epernay, considerata infatti la “capitale dello Champagne”. Ma non dimenticatevi dei vigneron.  Sono piccoli produttori indipendenti che con grande passione vi apriranno le porte delle loro cantine e vi faranno assaggiare il loro champagne. Inoltre generalmente condividerete questa esperienza con poche persone.

A questo utilissimo link https://www.champagne.fr/it/scoprire-la-champagne/turismo/visita-cantine-degustazione troverete un elenco completo di tutte le cantine di grandi Maisons, Vignerons e Cooperative di produttori suddivise per area. 

Vigneti dello Champagne