Ah…che invenzione le marshrutki! Un taxi collettivo. Dopo le mille mila raccomandazioni della dolcissima Irina, usciamo di casa e Vlad ci carica su una marshrutka. “Direzione centro città (dice al conducente), io vi raggiungo tra poco (rivolto a noi)”. A bordo ci restiamo io ed Elena, e nel mio traballante russo (che avevo appena iniziato a studiare) chiedo al conducente: “skol’ko?” e passo i soldi al passeggero davanti a me che li dà all’autista.

Così raggiungiamo il centro di Minsk. Se siete stati in uno dei paesi dell’ex spazio sovietico dalla Russia all’Ucraina, dalla Bielorussia alla Romania, li avrete sicuramente visti. Furgoncini che viaggiano come forsennati su un percorso stabilito, “10 minuti di paura e sarete a casa” (cit.). Sono mezzi privati e possono essere più o meno scassati a seconda del proprietario, che guadagna sul numero di persone trasportate e quindi capita di trovarcisi stipati come sardine, ben oltre la capienza consentita (giuro mi è successo in Romania, evviva la sicurezza! ma pittoresca esperienza).

Viaggiano in una direzione stabilita che generalmente ricalca quella dei mezzi pubblici ma, a differenza del trasporto pubblico non ha fermate stabilite (vero in parte perché alcune col tempo diventano convenzionali), né orari stabiliti. Per salire basta chiamare con il braccio e per scendere indicare il punto in cui l’autista vi deve lasciare. Quando si sale a bordo si paga direttamente all’autista o più spesso si passano i soldi ai passeggeri di fronte che li fanno arrivare all’autista. Purtroppo negli ultimi anni a Mosca le marshrutki sono state “istituzionalizzate”, possono circolare solo i mezzi autorizzati e modernizzati. Questo se da una parte ne ha migliorato la sicurezza, dall’altra ha tolto un po’ di folklore. Nel resto della Russia sono ancora molto diffusi invece nella versione più tradizionale e costituiscono un efficientissimo mezzo di trasporto. 

Il Cimitero Tedesco di Sighisoara è uno dei più suggestivi mai visti.

Sorge su una collina, in mezzo ad un bosco fatto di alberi secolari e contorti. Vi si accede attraverso una lunga scalinata interamente protetta da una bella copertura in legno annerita dal tempo, la Scala degli Studiosi. Il cimitero si dipana lungo la collina per cui è tutto un po’ in pendenza. Le bellissime tombe spesso sono ricoperte dall’edera, alcune risalgono al 1600, giacciono nella quiete tra i vialetti acciottolati.

Il cielo grigio e le foglie già un po’ ingiallite hanno reso questa visita ancora più bella. Un posto sospeso nel tempo, tra decadenza e volontà di conservazione che ne fa uno dei più seducenti cimiteri che abbia mai visto. Ancora (purtroppo) poco conosciuta, la Romania è una terra capace di regalare emozioni uniche. Ma inteso proprio come una suggestione particolare, difficile da descrivere tra il surreale e il malinconico. Arcano.

E voi vi fate incuriosire dai cimiteri?

E’ difficile capire un Paese come la Russia se non si conosce la sua storia! E non intendo solo quella moderna e contemporanea, ma anche quella più antica.. molto più antica!

Un viaggiatore francese del XIX secolo, il marchese De Custine, la definì con queste parole: «Questo amalgamarsi mostruoso di minuzie bizantine e di ferocità dell’orda, questa lotta tra cerimoniale da Basso Impero e selvagge virtù asiatiche generarono lo Stato portentoso che oggi si para di fronte all’Europa, e del quale essa avvertirà, forse domani, l’influenza senza poterne comprendere i meccanismi». (La Russie en 1839).

La storia ha forgiato cultura, tradizioni, lingua, pensiero, arte. Ci soffermiamo raramente a pensare all’origine delle parole per carpirne i segreti antichi, cosa vogliono raccontare. L’arte e le tradizioni orali o scritte sono più eloquenti rispetto al loro passato. Eppure se prestiamo attenzione anche le parole hanno una storia da narrare. Nel russo ad esempio i prestiti linguistici dagli idiomi orientali ci parlano del fiume mongolo che si riversò sui Principati della Rus’ e ci fanno capire dove l’impatto dei Tatari fu più forte: commercio, trasporti, abbigliamento e sistema abitativo.

Ancora oggi nel cuore della capitale si può passeggiare lungo l’Arbat.

Non è certa l’origine del nome di questa antica via di Mosca ma potrebbe essere di derivazione araba e giunta in Russia proprio attraverso i Mongoli: Ribat, locanda e cambio dei cavalli o Arbad, sobborgo.

Da musicista spesso nei miei viaggi cerco di inserire la componente musica. Che sia un concerto, visitare un museo a tema o un teatro o una sala concerti. E se visiti Vienna non puoi proprio evitare il Musikverein. E’ un tempio della musica classica, ascoltata e suonata. E tutta questa musica trasuda dai suoi muri e dall’alto della sua raffinatezza ti guarda fiero come a dire: ”Tutti i grandi sono passati di qua”. In effetti molti grandi musicisti da Beethoven, a Schubert, a Mahler, Liszt, Strauss e molti illustri direttori d’orchestra (pensate al famoso Concerto di Capodanno).

La storia di questa istituzione cominciò nel 1812 (per fare un pò di storia comparata, lo stesso anno delle campagne napoleoniche in Russia, ma questa è un’altra storia e la raccontiamo un’altra volta!) quando a Vienna viene fondata la Gesellschaft der Musikfreunde, la Società degli amici della musica. Presso l’Imperial Winter Riding School fu organizzato un concerto di beneficenza a cui parteciparono 5000 spettatori e 600 musicisti tra coro e orchestra (ve l’immaginate l’emozione di ascoltare 600 persone che cantano e suonano?). Il travolgente successo di questo concerto portò alla nascita dell’associazione che crebbe in fretta, tanto che ben presto nella prima sede non ci stavano più e se ne dovette costruire un’altra.

Francesco Giuseppe I

L’attuale edificio, situato proprio nel centro di Vienna, risale al 1870 e fu voluto da Francesco Giuseppe I. Sovrano sfortunatissimo (perse gran parte della sua famiglia) e odiato da molti per il suo assolutismo. Noi italiani (ma non solo) abbiamo il dente avvelenato a causa dell’annessione del Lombardo-Veneto. Durante il Concerto di Capodanno è tradizione suonare la marcia di Radetzky. Una marcia militare, opera di Johann Strauss, che celebra la vittoria austriaca sui moti rivoluzionari italiani del 1848. Però bisogna anche riconoscergli una buona dose di sfiga visto che vide morire uno dei fratelli, la madre, due figli, la moglie. Come se non bastasse l’uccisione del nipote Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914 fu la scintilla che provocò la Grande Guerra.

Reminiscenze ateniesi

L’architetto che realizzò il progetto del Musikverein, Theophil von Hansen, aveva studiato e lavorato ad Atene e lo stile ispirato alla Grecia classica è evidente nelle cariatidi, nelle colonne ioniche, nelle divinità rappresentate e nella policromia utilizzata. Le sale del Musikverein sono considerate tra le migliori al mondo per l’acustica oltre che per la ricercatezza e la preziosità degli interni.

La musica classica ti avvolge, entri in un’atmosfera di sogno. Gli interpreti, gli strumenti, la sala, il silenzio del pubblico, le note nere sul pentagramma che si susseguono. Tutto contribuisce a dar vita ad un incontro strabiliante.  Un’armonia aulica e profonda che solo la musica classica può trasmettere.