Budapest comunista. Fra “nostalghja” e oblio.
Avete visto il film “Goodbye Lenin”? Siamo nei turbolenti giorni che precedettero il crollo del muro di Berlino, Christiane, convinta comunista della Berlino Est e donna già malata, intravede il figlio Alex ad una manifestazione. Dallo shock perde i sensi e batte la testa andando in coma. Si risveglia che ormai il muro è caduto, ma lei non lo sa e non lo scoprirà mai, perché fino alla sua morte Alex cerca di tenerla all’oscuro di tutto ciò che è successo.
Nel film emerge il sentimento di “nostalghja” abbastanza tipico in tutto l’ex Est comunista, ad esempio quando Christiane vuole mangiare proprio una particolare marca di cetriolini a cui era tanto affezionata. E’ un sentimento intimo e personale che ricorda un po’ quello di Proust per le madeleines. Il passato socialista a Budapest è un eco che fatica a trovare i suoi spazi. In parte sopravvive nella memoria di chi ha vissuto quell’epoca, in parte cerca di non scomparire travolto dal tempo e dalla smania di cambiare pelle. Si nasconde in piccoli dettagli.
Proprio qualche giorno mi è capitato di leggere di una petizione lanciata nella città, per salvare le insegne al neon di epoca sovietica che illuminavano le notti di Budapest, come una Parigi comunista, perché rischiano di andare perdute. Parlandone con Attila ho ritrovato quel sentimento proustiano. “Sono un ricordo legato alla mia infanzia. Il comunismo è stato parte del nostro passato, della nostra storia, perché dovremmo rinnegarlo?”.
Mettendo da parte quello che può essere stato il contesto storico e politico sono memorie affascinanti che meritano di essere preservate. Budapest non è una città facile da capire, è bella, è una delle città più visitate al mondo, ma capirla è tutt’altra cosa e spesso si rischia di viverla superficialmente. La storia qui si è susseguita in una maniera travolgente. In cento anni è passata attraverso l’Impero Asburgico, la breve Repubblica Socialista d’Ungheria nel 1918, la restaurazione ultraconservatrice di Miklós Horthy, la Seconda Guerra Mondiale, la repressione stalinista e la sanguinosa rivoluzione del ‘56. E poi i quarant’anni di comunismo che pure qui ha assunto una forma tutta sua, tanto che l’Ungheria viene definita la “baracca più felice” all’interno del campo sovietico. Poi c’è stata la fine dell’Unione Sovietica e la nuova spinta ultranazionalista dell’attuale governo.
Da un regime all’altro, gli ungheresi hanno sempre lottato per la propria libertà e indipendenza. In quest’ultima fase storica si sta cercando di cancellare tutto ciò che non sia magiaro e il periodo 1949-1989 non fa eccezione. Ma nonostante gli sforzi, alla fine qualcosa della Budapest socialista ancora sopravvive e ancora qualcuno cerca di preservarne la memoria.
In questo post troverete una piccola guida (sicuramente non esaustiva!) alle tracce del comunismo ancora visibili nella città. Seguitemi.
Le luci al neon
Vengono associate a modernità e progresso. Al di là della Cortina di ferro erano più il simbolo di un’illusione. Senza voler idealizzare l’epoca comunista, sono parte di un passato quotidiano e hanno un fascino che riside nella loro estetica e nella loro capacità di veicolare messaggi. Questi neon erano un modo per “educare” la popolazione, si trasformarono in uno strumento di propaganda attraverso il quale si voleva far passare una sensazione di stabilità, modernità e benessere.
Sponsorizzavano attività e messaggi più disparati: dalle agenzie di viaggio ai caffè, ai negozi di alimentari, ristoranti, gas naturale, negozi di antiquariato, raccomandazioni al traffico come: “Attenzione, Pazienza e Educazione”. Ed erano così tante da far guadagnare a Budapest la fama di Capitale europea del neon. Con il crollo del comunismo sempre più spesso ne venivano cancellate le tracce dalle strade e queste insegne che prima illuminavano la città vennero man mano spente.
Oggi molte sono fatiscenti, stanno lentamente scomparendo davanti agli occhi delle persone, spesso senza che queste abbiano interesse a fare qualcosa. Qui potete trovare il racconto dell’interessante progetto che si sta occupando di salvarle dalla distruzione, grazie al lavoro di una designer, Luca Patkos. Il lavoro si propone restaurare (potete leggere un esempio qui) e ricollocare nel luogo originario, radunare in un museo o anche semplicemente spostare in luoghi protetti queste insegne. E’ stata creata una mini esposizione on line sul sito Neon Budapest e ci potete trovare anche una mappa con la collocazione.
E sono veramente tantissime, sparse in tutta la città! Invece nel cortile del Museum of Electrical Engineering, un bell’edificio in stile Bauhaus, ne trovate alcune già restaurate.
Memento Park
Il Memento Park è un esempio dello strano e ambiguo appeal esercitato dal brutalismo postcomunista. E’ stato inaugurato nel 1993 quando l’Unione Sovietica non esisteva più da soltanto da una manciata di anni.
Visitare questo Parco è un momento di riflessione, una lezione di storia sussurrata. Una storia che non deve essere cancellata, ma le cui cicatrici devono essere sfruttate. A darvi il benvenuto sono gli “stivaloni” di Stalin, copia di una immensa statua abbattuta durante la rivolta antisovietica del 1956, e una Trabant azzurrina. Nel grande piazzale sono riunite le monolitiche statue che una volta glorificavano il proletariato, i leader del Partito e l’Armata Rossa, in centro città. Sono statue realizzate tra il 1945 e il 1989 ed avevano un ruolo fondamentale nella propaganda del regime comunista.
Quando cadde il Muro di Berlino in tutto il mondo sovietico i simboli del comunismo vennero distrutti, ma in molti paesi si decise di raccogliere questi simboli e radunarli in musei e parchi. Il Memento Park è uno di questi (a Mosca ad esempio c’è il Museon). Nel 2021 quando l’abbiamo visitato noi c’erano dei lavori di restauro ma in generale purtroppo, a causa della mancanza di fondi tutto ha un aspetto abbastanza trasandato.
Le statue sembrano essere posate un po’ alla rinfusa, ciuffetti d’erba spuntano nei sentieri, basamenti delle statue scrostati, un’esposizione di statue di Lenin che sembrano essere accatastate in un magazzino, un edificio posticcio ospita il piccolo cinema dove viene proiettato il film documentario “La vita di un agente”. Nella sala accanto al cinema viene raccontata la storia degli eventi della Rivoluzione del 1956 e dei cambiamenti politici del 1989-1990. Il Museo è di proprietà dello Stato, ma di fatto è gestito da alcuni privati con i proventi dei biglietti e del negozio di souvenir.
Si raggiunge abbastanza facilmente con i mezzi pubblici. Prendete la metropolitana M4 Kelenföld e dal piazzale dei bus si può prendere il 101B, il 101E o il 150 (il viaggio dura circa 25 minuti).
Bambi Eszpresszó
Il Bambi Eszpresszó non è una rivisitazione in stile retrò, no, lui è proprio rimasto così, impassibile e immutabile allo scorrere del tempo. Bambi è un tipico presszó (un bistrot) ungherese. L’origine del nome arriva proprio dal cerbiatto della Disney – qualcun altro sosteneva che arrivasse da un omonimo soft drink, una bevanda a base di arancia, molto in voga in quegli anni.
Alla sua realizzazione hanno partecipato architetti e designer ungheresi rinomati come Lívia Gorka (le ceramiche appese alla parete sono sue) e Miklós Erdély (a lui si attribuiscono le piastrelle dietro al bancone). Fu luogo di ritrovo di artisti, letterati, imprenditori. Qui di turisti ne troverete davvero pochi, per lo più i frequentatori sono locali, uomini panzuti che bevono birra e leggono il giornale, amici che si ritrovano dopo il lavoro, giovani universitari, signore del quartiere fuori per un drink. Le sedie all’interno, con il rivestimento rosso in finta pelle, sono ancora quelle in uso sin dall’apertura negli anni Sessanta.
E’ un luogo dove puoi mangiare e bere a prezzi stracciati (una birra piccola costa tipo 1,5 euro) e la colazione è il suo cavallo di battaglia.
Anche Budapest ha la sua Statua della Libertà
Sorge sulla imponente collina dove si trova la Cittadella. E’ un luogo dove si respira la travagliata storia ungherese, la continua lotta per la propria indipendenza e libertà. Un luogo che sembra essere simbolo di libertà tanto quanto oppressione.
La Cittadella fu costruita nel 1854 dagli Asburgo come strumento di controllo per prevenire una nuova ribellione ungherese. Sfruttando la posizione dominante sulla città, fu in seguito utilizzata sia dai Nazisti che dall’Armata Rossa. I Comunisti decisero di erigere un monumento a memoria della vittoria ottenuta sui nazisti. Il complesso era costituito da cinque statue: due erano soldati dell’Armata Rossa – finiti poi al Memento Park; una donna che regge una torcia e un uomo che combatte un drago a cinque teste; e infine la Statua della Libertà (Szabadság Szobor), una donna che tiene una foglia di palma con entrambe le mani alzate verso il cielo e che domina la città.